41: Pallade e Aracne

Titolo dell'opera: Le filatrici (Las hilanderas) o La favola di Aracne

Autore: Diego Velazquez (1599-1660)

Datazione: 1656 ca.

Collocazione: Madrid, Museo del Prado

Committenza: Pedro de Arce

Tipologia: pittura

Tecnica: olio su tela (220 x 289 cm; senza le aggiunte 167 x 250 cm)

Soggetto principale: in primo piano cinque donne al lavoro

Soggetto secondario: sullo sfondo, in un ambiente adiacente, due donne di spalle osservano Aracne e Minerva; una terza donna guarda verso il laboratorio

Personaggi: Aracne, Minerva, otto donne

Attributi: telaio, tela con il Ratto d’Europa (Aracne); elmo, armatura (Minerva)

Contesto: interno di un laboratorio tessile con due ambienti comunicanti

Precedenti: Tiziano Vecellio, Ratto di Europa, Boston, Museo Stewart Gardner, 1562 (per l'arazzo che compare sul fondo del dipinto)

Derivazioni:

Bibliografia: Angulo Iñiguez D., Las hilanderas, in “Archivio Español de Arte”, 1948, n. 81, pp. 1-19; de Tolnay C., Las pinturas mitologicas de Velazquez, in “Archivio Español de Arte”, XXXIV, 1961, n. 133, pp. 42-43; Lòpez-Rey J., Velazquez. A catalogue raisonné of his oeuvre, Faber and Faber, Londra 1963, pp. 89-92, 139-141, pl. 122, 123, 128, 451; Micheletti E., Velazquez, Sadea/Sansoni, Firenze 1968, p. 39; Ferrarino L., Nuova interpretazione delle Filatrici di Velazquez, in “Notiziaro d'Arte”, 1966, n. 11-12, pp. 2-9; Bardi P. M., L'opera completa di Velazquez, Rizzoli, Milano 1969, p. 108; Lopez-Rey J., Velazquez, Biblioteque des Arts, Lausanne-Paris 1979, pp. 454-455; Enriqueta Harris, Velazquez, Cornell/Phaidon Books, Ithaca (New York) 1982, pp. 158-161; Davidson Reid J. - Rohmann C., The Oxford Guide to the Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993, I, p. 185; Marini M., Velazquez, Electa, Milano 1997, pp. 114-115; Lòpez Torrijos R., Mythology & History in the great paintings of the Prado, trad. A cura di Evans G., Madrid 1998, pp. 20-21.

Annotazioni redazionali: fino al 1948, l’opera era conosciuta solo come Las Hilinderas (Le Tessitrici): si credeva infatti che si trattasse di una semplice scena di genere raffigurante l’arazzeria di Isabella di Spagna, e sullo sfondo – secondo Camòn Aznar – la visita dell’infanta Maria Teresa e delle sue dame. Già alla fine del XIX secolo, però, Carl Justi segnalava delle anomalie, come l’inspiegabile presenza sullo sfondo di un “uomo in elmo e scudo”, figura oggi identificata con Minerva. Questa interpretazione “realista” fu superata quando Diego Angulo Iñiguez identificò nel dipinto la raffigurazione del mito ovidiano di Aracne e Minerva e documentò che già nell’inventario dei beni appartenenti a don Pedro de Arce, stilato nel 1664, esso era noto come “fabula de Aragne”. A favore di questa lettura, c’è il fatto che nella biblioteca dell’artista erano presenti almeno due copie delle Metamorfosi di Ovidio, una delle quali era probabilmente la versione spagnola con il commento di Pedro Sànchez de Viana. Stando a questa interpretazione, in primo piano sarebbe raffigurato il momento in cui Minerva, travestita da vecchia, fa visita ad Aracne nel suo laboratorio. José Lòpez-Rey segnala che la donna anziana davanti al filatoio sulla sinistra mostra una “youthful shapely leg”, particolare che renderebbe evidente il travestimento. Aracne è stata identificata con la figura di spalle sulla destra che sta arrotolando una matassa di lana. Sono presenti altre tre donne, variamente affaccendate, probabilmente delle aiutanti. Sullo sfondo sono visibili tre donne, in sontuosi abiti del XVII secolo; quella più a destra vestita di rosso guarda verso il laboratorio in primo piano, mentre le altre due, di spalle, osservano la scena che si sta svolgendo davanti a loro: Minerva, riconoscibile dall’elmo, solleva il braccio destro come a voler intimidire Aracne, raffigurata in piedi mentre mostra la tela che ha appena finito di tessere. Sulla tela appesa al muro, infatti, è raffigurato il Ratto d’Europa, il primo dei soggetti che la giovane inserisce nella sua opera. Secondo la critica, Velazquez non si sarebbe soffermato sul momento della punizione di Aracne, quanto sul suo gesto “dimostrativo”, opposto a quello intimidatorio della dèa. Analogamente, nel suo commento Pedro Sanchez de Viana sosteneva che il mito di Aracne rappresentasse l’orgoglio e la rabbia provati da un artista, che vede il suo lavoro criticato ingiustamente. Stando a questa interpretazione, le tre donne in abiti del tempo sarebbero le ammiratrici di Aracne di cui parla Ovidio (Met., VI, vv. 14-16; 44-45). Nel tempo sono state fornite altre letture del dipinto. Charles de Tolnay, notando che nel testo ovidiano non si parla di strumenti musicali, in particolare di una viola da gamba, interpreta l’opera come un allegoria della superiorità delle Arti Maggiori rispetto alle cosiddette Arti Minori. Sullo sfondo, nella zona più illuminata, Atena, dèa delle arti, è circondata da quattro personificazioni: Aracne per la Pittura, la donna con il vestito giallo e la viola da gamba per la Musica, le altre due per la Scultura e l’Architettura. Di contro, la scena in ombra in primo piano raffigurerebbe l’artigianato, e in generale le Arti Minori. Pertanto, nel dipinto sarebbero rappresentati due momenti della contesa tra Aracne e Minerva, il primo nell’ambito delle arti minori, il secondo in quello delle arti maggiori. Il particolare della viola da gamba ha fornito la base per tutta una serie di interpretazioni del dipinto in chiave politico-morale: questo strumento, usato nell’Iconologia di Cesare Ripa come attributo dell’Armonia, ha portato molti studiosi a leggere l’opera come un’esaltazione dell’obbedienza alla monarchia e della concordia, in rapporto con la particolare situazione politica spagnola di quegli anni. La critica ha sottolineato l’ambiguità dei rapporti spaziali all’interno del dipinto: la luce che entra da sinistra confonde lo spazio reale, dove sono le donne, con quello fittizio della tela appesa sullo sfondo, in modo che le figure di Aracne e Minerva sembrino loro stesse tessute. José Lòpez-Rey spiega le manomissioni subite dal dipinto durante il XVIII secolo (aumentato delle dimensioni del dipinto, aggiunta della volta a crociera con un oculo) come interventi volti a rendere lo spazio più plausibile, rispetto a quanto non avesse fatto Velazquez. La tela appesa sullo sfondo è stata identificata per la prima volta nel 1931 da Philip Hendy come una copia del Ratto di Europa di Tiziano, oggi a Boston nel Museo Stewart Gardner (Cfr. scheda opera relativa). L’opera fu inviata nel 1562 a Filippo II di Spagna e ancora nel XVII secolo si trovava nel Palazzo Reale di Madrid, dove fu copiata da molti artisti, primo fra tutti Rubens (Cfr. scheda opera relativa). Secondo Iñiguez, Velazquez fece riferimento proprio a questa copia dell’opera tizianesca e riprese dall’Aracne e Minerva di Rubens (Cfr. scheda opera 40) l’inserimento sullo sfondo di un arazzo raffigurante il Ratto di Europa. La conoscenza da parte di Velazquez dell’opera rubeniana, di cui oggi rimane solo questo bozzetto (il dipinto relativo, opera di Juan Batista del Mazo, è andato perduto), è documentata dal fatto che egli la inserì in uno dei quadri appesi sulla parete di fondo nel suo dipinto conservato nel Museo del Prado, Las Meniñas (Alpers).

Chiara Mataloni