Titolo dell'opera: Minerva e Aracne
Autore: Jacopo Robusti, detto il Tintoretto
Datazione: 1575-85 (1579)
Collocazione: Firenze, Galleria degli Uffizi, depositato a Palazzo Pitti, Palazzina della Meridiana (collezione Contini Bonacossi)
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (142 x 290)
Soggetto principale: Aracne e Minerva al telaio
Soggetto secondario: un gruppo di donne assiste alla scena
Personaggi: Aracne, Minerva, donne
Attributi: telaio (Aracne); elmo (Minerva)
Contesto:
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://itech.pjc.cc.fl.us/cschuler/clt1500/gallery/053.jpg
Bibliografia: Salmi M., La donazione Contini Bonacossi, in “Bollettino d’arte”, serie V, LII, 1967, 4, pp. 222-232; De Vecchi P., L’opera completa del Tintoretto, Classici dell’Arte Rizzoli, Milano 1970, p. 122; Pallucchini R.-Rossi P., Tintoretto. Le opere sacre e profane, Electa, Milano 1982, tomo I, pp. 140-141, tomo II, p. 325, fig. 85; Davidson Reid J. - Rohmann C., The Oxford Guide to the Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993, I, p. 185; Gregari M., Uffizi e Pitti, i dipinti delle gallerie fiorentine, Magnus, Udine 1994, pp. 244-247, 274; Nichols T., ad vocem Jacopo Tintoretto, in The Grove Dictionary of Art, a cura di Turner J., Londra 1996, pp. 5-18; Guthmüller B., Tintoretto e Ovidio: il problema dei testi mediatori, in Mito, Poesia, Arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Bulzoni, Roma, 1997, pp. 275-289; Cieri Via C., Dal mito all’allegoria: Tintoretto, un caso esemplare, in L’arte delle Metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Lithos, Roma 2003, pp. 104-114.
Annotazioni redazionali: l’opera faceva parte della collezione fiorentina dei duchi Alessandro e Vittoria Contini Bonacossi, parte della quale nel 1955 passò allo Stato Italiano. Pare che la tela, originariamente di forma ottagonale, fosse stata vista da Mary Pittaluga (1925) a Venezia nel Palazzo Donà dalle Rose. Data la particolare impostazione prospettica dal basso verso l’alto, il dipinto era probabilmente destinato a decorare un soffitto. Esso viene associato ad un’altra opera del Tintoretto, proveniente dalla medesima Collezione, nota come “Diana ed Endimione” o “Venere e Adone”. Purtroppo non si conoscono gli altri pezzi di questo soffitto, che verosimilmente presentava un ciclo mitologico-allegorico. La stessa tela con Minerva e Aracne, infatti, viene interpretata da Berenson come un’Allegoria dell’Industria, dalla Pittaluga come un’Allegoria dell’Amor Terreno, contrapposto all’Amor Fedele raffigurato nella tela con Diana ed Endimione. A tal proposito ricordiamo che negli stessi anni il Veronese decorava il soffitto della Sala del Collegio nel Palazzo Ducale di Venezia con una serie di Allegorie, tra cui quella dell’Industria, interpretata anche come Aracne (Cfr. scheda opera 34). Tintoretto raffigura Aracne e Minerva sedute allo stesso telaio; si direbbe che l’artista abbia scelto di rappresentare il momento della contesa tessile. Solo la giovane mortale, però, sta effettivamente lavorando, mentre la dèa la osserva pensierosa. Sullo sfondo sono visibili tre figure femminili, identificate con le ammiratrici di Aracne di cui parla Ovidio (Met., VI, vv. 15-16, 44-45). Il particolare atteggiamento di Minerva non trova riscontro nelle fonti letterarie e credo che non abbia dei precedenti iconografici: generalmente, se Aracne è raffigurata mentre lavora da sola al telaio, le opere fanno riferimento alla prima parte del mito, quando Minerva va a farle visita travestita da vecchia; altre volte viene rappresentato l’attimo in cui la dèa, tolto il travestimento, si mostra ad Aracne ed accetta la sfida, o ancora il momento vero e proprio della contesa, con entrambe le protagoniste al telaio. Solo nel caso dell’affresco di Taddeo Zuccari nel Palazzo Farnese di Caprarola troviamo Aracne in piedi e Minerva, seduta al telaio, già al lavoro (Cfr. scheda opera 30). ella tela del Tintoretto Aracne sembra quasi non accorgersi della presenza della dèa, il cui atteggiamento non suggerisce che è in atto una contesa; Minerva guarda Aracne ammirata, e questo di certo non si ritrova nel racconto ovidiano: potrebbe effettivamente trattarsi di un’allegoria dell’Industria.
Chiara Mataloni