09: Giove e Alcmena

Titolo dell'opera: Giove e Alcmena, Mercurio e Sosia

Autore: Perin del Vaga

Datazione: prima metà del XVI secolo

Collocazione: Londra,Courtauld Institute of Art, Witt Collection

Committenza: Andrea Doria

Tipologia: disegno

Tecnica: penna, inchiostro marrone scuro, acquerello marrone, lumeggiature a corpo su carta acquerellata in marrone; tracce di quadrettatura sottostante a matita nera o carboncino su entrambi; (370 x 199 mm; 370 x 196 mm)

Soggetto principale: Giove, nelle vesti di Anfitrione seduce Alcmena ( a sinistra); Mercurio impedisce a Sosia di entrare nella camera (a destra)

Soggetto secondario:

Personaggi: Alcmena, Giove, Mercurio, Sosia

Attributi: aquila (Giove); caduceo, ali ai piedi (Mercurio); corta tunica da schiavo (Sosia)

Contesto: stanza da letto (a sinistra)

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Dunand L., Les amours des Dieux, Le Marchard, Parigi 1977, p. 170, fig. 388; Alberti Gaudioso F., Gaudioso E., Gli affreschi di Paolo III a Castel Sant'Angelo. 1543-1548, catalogo della mostra tenuta a Roma, De Luca Editore, Roma 1981; Davidson B., The Furti di Giove. Tapestries designed by Perino del Vaga for Andrea Doria, in “The Art Bullettin”, 3, LXX, 1988, pp. 424-449; Massari S., Giulio Romano. Pinxit et delineavit, Frat. Palombi, Roma 1993; Perino del Vaga tra Raffaello e Michelangelo, catalogo della mostra tenuta a Mantova, Electa, Milano 2001, pp. 245-246

Annotazioni redazionali: i due disegni divisi, ma in origine facenti parte del medesimo foglio rappresentano la storia di Alcmena secondo Plauto (Alcfc10). I personaggi della commedia sono otto: Giove e Mercurio, nelle vesti rispettivamente di Anfitrione e Sosia; Alcmena, Anfitrione, il servo Sosia, la fantesca tessala, il nocchiero Blefarione e la fantesca Bromia. Nel prologo recitato da Mercurio si narra l'argomento della commedia: Anfitrione, marito di Alcmena, è al comando dell'armata tebana contro i Teleboi. Prima della partenza del marito Alcmena è rimasta incinta, durante l'assenza del marito la donna è sedotta da Giove, trasformatosi in Anfitrione. Mentre Giove amoreggia con Alcmena, Mercurio Sosia se ne sta sulla porta controllando che nessuno disturbi gli amanti. Il primo atto si apre con Sosia che s'incammina verso casa di Anfitrione per avvertire Alcmena del ritorno del marito. Sulla porta di casa incontra Mercurio che gli ordina di andarsene( disegno a destra), ma Sosia insiste e così Mercurio lo picchia. Giove è ora che se ne vada , prima però regala ad Alcmena la tazza in cui beveva Pterelao e che ha avuto in premio per il suo valore. Il secondo atto sia apre con il resoconto che fa Sosia al vero Anfitrione, il quale non gli crede e s'incammina verso casa. Quando vi giunge resta stupito dell'accoglienza poco calorosa ricevuta dalla moglie. Ma Alcmena gli dice che la notte precedente l'hanno passata insieme, gli racconta della guerra e gli mostra la coppa d'oro. Nel terzo atto Anfitrione ritorna alla nave, mentre Giove riassunte le sembianze di Anfitrione, si reca da Alcmena per fare la pace. Nel quarto atto Anfitrione ritorna a casa e discute con Mercurio- Sosia. Nel quinto atto tutti svengono per il tuono di Giove, intanto Alcmena partorisce due bambini. La fortuna di Plauto è pressoché ininterrotta, nel XII secolo la rama dell'Amphitruo fornì l'ispirazione per la commedia elegiaca Geta di Vitale di Blois, dal quale a sua volta dipendono il quattrocentesco cantare anonimo italiano in ottave Geta e Birria (vedi sop08). Con l'umanesimo rinasce anche l'interesse di Plauto, sia dal punto di vista filologico, sia dal punto di vista teatrale. Nasce dapprima la commedia umanistica, in latino e poi Plauto ritorna finalmente in scena: nel 1480 è attestata una rappresentazione dell'Asinaria alla corte pontificia, ma è soprattutto alla corte ferrarese che Plauto trionfò: nel 1486 furono rappresentati i Meneghini, alla cui traduzione collaborò lo stesso duca Ercole I d'Este; nel 1487 e nel 1491 vi furono due rappresentazioni dell'Amphitruo, nella traduzione italiana di Pandolfo Collenuccio. L'attivismo delle Belle Arti è inscindibile a Ferrara dalle ragioni dinastiche, la vitalità del teatro è regolata dalla sequenza delle occasioni cortigiane: il matrimonio di Isabella con Francesco Gonzaga (1490), di Beatrice con Ludovico il Moro (1491), di Alfonso con Lucrezia Borgia (1501). Se l'invenzione del teatro si realizza essenzialmente nello spazio di corte, è la corte di Ferrara il luogo privilegiato che presiede a questa nascita. Tra il 1471 e il 1505 sotto la signoria di Ercole I d'Este Ferrara è un centro vivace di cultura umanistica e di iniziative teatrali. Da un lato le riflessioni sui commediografi latini, dall'altro le rappresentazioni di corte che iniziano il 25 gennaio 1486 con il volgarizzamento dei Meneghini di Plauto. Nella vita di corte l'aspetto coreografico, spettacolare, è sempre di grande importanza politica e domina in tutte quelle circostanze familiari o cittadine che richiedono una particolare solenizzazione. Le nozze dei signori erano molto spesso occasione di tutti questi spettacoli, in una serie canonizzata che non differiva molto nelle diverse corti. L'importanza attribuita a queste feste era tale che molto spesso i letterati di corte erano incaricati delle stesura di minuziose cronache degli avvenimenti, completo dell'elenco degli invitati, del loro seguito e dei doni scambiati. Molti sono i resoconti, scritti in latino o in volgare, ma fra tutti il più importante e completo è l'Himeneo di Sabatino degli Arienti, che descrive le nozze di Lucrezia d'Este e Annibale Bentivoglio, nell'ultima settimana di gennaio del 1487 a Bologna. I festeggiamenti avevano avuto inizio a Ferrara, la settimana precedente, durante la quale erano stati rappresentati il Cefalo di Niccolò da Correggio e l'Anfitrione volgarizzato di Pandolfo Collenuccio. Scorrendo queste cronache, troviamo una novità scenografica che arricchisce l'allestimento fisso già collaudato, segnalata come attrazione della rappresentazione dell'Amphitrione, datata il 25 gennaio per festeggiare le nozze di Lucrezia: appresso lo decto de la torre haveno facto fare uno cielo con rode, andestuano in torno, con puti li era per mezo et anche li era lampade piene de olio impiate et quelli puti faceva andare intorno intorno quelle rode, che certo era cosa bella da vedere, cantando; ...quelle lampade, che erano assai, era per certo degna cosa che pareva il cielo stellato. La macchina del cielo, illuminato da lampade producenti l'effetto di stelle luminose, richiama le invenzioni scenografiche bruneschelliane, utilizzate nelle chiese fiorentine. Sono dunque le invenzioni scenografiche dello spettacolo religioso che moltiplicano le attrattive degli allestimenti dei primi grandi spettacoli profani. Le feste in generale soddisfacevano due esigenze: la prima, ludica, la seconda legata al potere del signore. Attraverso queste feste si evidenziava da un lato la magnificenza del signore, una sorta di autorappresentazione, dall'altro attraverso la scelta di alcune storie si legittimava il potere del signore. La storia teatrale mantovana appare fittamente intrecciata con quella ferrarese soprattutto a cominciare dall'ultimo quinquennio del quattrocento. Francesco Gonzaga chiede a Ercole I nel 1496 alcuni testi tradotti in versi di alcune commedie plautine. Il trasferimento presso la corte gonzaghesca dei copioni in volgare divenne sistematico. Davidson ha posto i disegni in relazione con i cartoni per gli arazzi con i Furti di Giove, disegnati da Perino per il Salone dei Giganti in Palazzo Doria. La serie era formata da sette arazzi con Giove e Danae, Giove e Semele, Giove e Alcmena con Sosia, Giove ed Io, Giove e Callisto, Giove e Giunone, più un entre-fenetres a forma di E ruotata di 90° con tre pannelli verticali collegati da una fascia in alto, con tre figure allegoriche femminili, di cui si conservano i cartoni per la Liguria e la Vigilanza. Il tema degli Amori di Giove è trattato in Palazzo Doria nella stanza delle Metamorfosi, nelle cui lunette è narrata la sfida di Aracne e Minerva (Cfr. scheda opera relativa). " Perin del Vaga recuperava a suo modo la mitica ambizione di giungere alla perfezione dell’arte dell'arazzeria rappresentando gli Amori degli Dei così come aveva fatto Aracne, a dar ascolto alle Metamorfosi di Ovidio, quando narra della sfortunata competizione con Pallade Atena (Perino del Vaga tra Raffaello e Michelangelo, 2001, p. 246). Una relazione della visita a Genova, nel 1548 del principe Filippo d'Asburgo indica che gli arazzi erano stati donati per adornare le nude pareti del salone della Caduta dei Giganti. La volta mostrava Giove trionfante sui Giganti.

Giovanna La Padula