Inizio sec. VI a.C.
Esiodo, Lo scudo di Eracle
La nascita di Eracle
vv. 1 - 56
O come colei che abbandonata la
casa e la patria terra e seguendo
il prode Anfitrione, se ne venne a
Tebe, Alcmena, la figlia di Elet
trione animatore di popoli, lei
che per la maestà e per la
bellezza vinceva tute quante
le delicate donne, e con la
quale nessuna, nemmeno per lo
spirito, poteva contendere fra
quante, da donne mortali a
mortali congiuntesi, furono gene
rate. Dalla sua fronte e dalle
sue pupille azzurro cupo spira
va incanto simile a quello
dell'aurea Afrodite. Ed essa
nutriva nel cuore grande amore
per lo sposo, quale mai altra
tenera donna provò maggiore;
tuttavia egli aveva ucciso il
nobile padre di lei, domatolo
con la forza, sdegnato per una
contesa di buoi. Abbandonan
do allora la sua patria terra
se n'era venuto a Tebe per chiedere
aiuto ai Cadmei portatori di scudo.
E la dimorando, vicino alla casta
sposa, ma senza l'amore desiderato
non poteva entrare nel letto dell'E
lettrionide dalle snelle caviglie
prima di aver vendicato il massacro
dei magnanimi fratelli di lui
e di aver bruciato con impetuoso
fuoco le dimore degli Eroi Tafi e
Teleboi.
Questo, infatti, era stato statuito
e gli dei ne erano testimoni: egli
temeva il loro corruccio, e voleva
compiere quanto più in fretta
potesse la grande impresa
di cui Zeus gli faceva un
dovere.
Bramosi di pugna e di mischia
lo seguivano i Beoti sferzatori
di cavalli che respiravano
al di sopra dei loro scudi, i
Locresi valenti nel corpo a
corpo, i magnanimi Focesi; e
il valoroso figlio di Alceo
li comandava, fiero della sua
gente.
Il padre degli dei e degli
uomini volgeva nel suo a
nimo un disegno: come
creare un difensore contro il
pericolo e a vantaggio degli
dei e degli uomini industri.
Scese, dunque, dall'Olimpo
volgendo nella sua mente un
inganno per aver l'amore
della donna dalla bella cin
tura.
Era la notte. Rapidamente
giunse a Tifaonio, guadagnan
do la vetta del Ficio, e l'accorto
Zeus s'assise. Là, meditando
rivolgeva in mente meravigliosi
pensieri. Infatti in quella notte
si congiunse in amore con l'Elet
trionide dalle snelle caviglie
e appagò il suo desiderio; e
quella notte, l'animatore di
popoli Anfitrione, splendido
eroe, avendo condotto a termine
la grande sua impresa, tornò
alla sua casa, né si diede
cura di rivedere i suoi servi o i
pastori nei campi: anzitutto
voleva entrare nel letto della
sua sposa, tanto forte sentiva
il desiderio nel cuore, questo
reggitore di popoli.
Come quando qualcuno
con gioia scampa a un male
(o ad un grave morbo o a dure
catene), così Anfitrione, uscito
dall'opera travagliosa, pieno di
gioia e di piacere, corse a casa.
E l'intera notte giacque
con la sua casta consorte
godendo dei doni dell'aurea
Afrodite. E quella, sottomessa
al volere di un dio e a quello
di un fortissimo eroe, in
Tebe dalle sette porte generò due
gemelli. Ma, sebbene fratelli,
questi erano tra di loro di
animo diverso: l'uno inferio
re, l'altro, il forte Eracle, di
gran lunga superiore, terribile
e possente. Li generò soggetta per
l'uno al Cronio della nuvola
nera, per l'altro, Ificle, ad
Anfitrione lanciatore dell'asta.
Ben differenti: l'uno nato da
uomo mortale, l'altro da
Zeus Cronio che regna su tutti
gli dei.