
Titolo dell’opera: Apollo e Marsia
Autore: Luca Giordano
Datazione: 1696
Collocazione: El Escorial, Palazzo, Patrimonio Nacional
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (190 x 190 cm) Ferrari dimensioni originarie 209 x 198 cm
Soggetto principale: Apollo scortica Marsia
Soggetto secondario: un puttino alle spalle di Apollo e un satiretto accanto a Marsia tengono gli strumenti musicali dei due, una lira e una siringa; un satiro adulto si dispera alle spalle di Marsia, un altro guarda indietro sullo sfondo verso Mida
Personaggi: Apollo, Marsia, Mida, satiri, puttino
Attributi: coltello, lira da braccio (Apollo); siringa, zampe caprine, barba, orecchie a punta (Marsia); corona, scettro; orecchie d’asino (Mida); barba, orecchie a punta, corna (satiri)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Ferrari O., Scavizzi G., Luca Giordano. L’opera completa, Electa Napoli, Napoli 1192, pp. 269-270; Luca Giordano 1634-1705, catalogo della mostra (Napolo, Vienna, Los Angeles 2001-2002), a cura di Spinosa N., Electa, Napoli 2001, pp. 330-331; Ferrari O.-Scavizzi G., Luca Giordano. Nuove ricerche e inediti, Electa, Napoli 2003, pp. 83-84; Ovidio, Le Metamorfosi illustrate dalla pittura barocca, traduzione a cura di Faranda Villa G., Le Lettere, Firenze 2003, vol. I; Velazquez, Bernini, Luca Giordano: le corti del Barocco, a cura di Checa Cremades F., Skira, Milano 2004, pp. 226-231, 252, 254
Annotazioni redazionali: nella primavera del 1692 Luca Giordano fu chiamato da Carlo II in Spagna, dove rimase fino al 1702; durante questa permanenza realizzò numerosi cicli di affreschi, tra cui quelli all’Escorial, al Cason di Buen Retiro, nella sagrestia della cattedrale di Toledo e nel monastero di Nostra Signora di Guadalupe. Questa tela fu realizzata verso la fine del XVIII secolo in coppia con un’altra, raffigurante il mito di Aracne e Minerva: si tratta quindi di due personaggi superbi puniti perché hanno osato sfidare gli dèi. Entrambe le tele sono state decurtate; questa variazione delle misure rende complessa la loro identificazione all’interno degli inventari storici. La critica ha proposto di identificarle con due delle sei “favole grandi” elencate all’Escorial nella Testamentaria. Se così fosse, si può ipotizzare che il resto del ciclo fosse composto da dipinti dal soggetto analogo, come la Caduta di Fetonte, Dedalo e Icaro, la Caduta dei Giganti. Inoltre, poiché padre Ximénez le descrive all’inizio del XVIII secolo in una grande sala della Galleria Bassa del Palazzo dell’Escorial, è molto probabile che le tele fossero state commissionate dallo stesso re, Carlo II, come un ammonimento rivolto ai sudditi a non mostrare superbia nei confronti dei regnanti. Ancora all’Escorial alla fine del XVIII secolo, le due tele sono documentate dal Ponz e dal Céan in un ambiente che nel frattempo era stato adibito a segreteria di Stato; durante la guerra napoleonica furono portate a Madrid nei depositi allestiti nel convento del Rosario, da lì le ritroviamo presso l’Accademia per tornare infine nel 1849 all’Escorial. Luca Giordano sceglie di raffigurare in entrambi i casi il momento della punizione divina, lo scorticamento per Marsia e la metamorfosi in ragno per Aracne. Il satiro è seduto in terra, la schiena poggiata a un albero e le mani legate sopra la testa; il suo ventre è coperto da due ramoscelli di edera intrecciati, il volto – caratterizzato dalla barba e dalle tradizionali orecchie a punta – è deformato da una smorfia di dolore; Apollo infatti, tenendolo fermo con un piede, gli sta asportando un lungo lembo di pelle dal braccio. Il particolare è piuttosto cruento, con i muscoli del braccio di Marsia in vista e il sangue grondante, e – come più volte rilevato – l’atteggiamento di Apollo è sempre troppo distaccato e privo di pathos rispetto alla violenza dell’azione commessa. Ai piedi di Marsia un piccolo sileno suona la siringa a sette canne, mentre alle spalle di Apollo troviamo un puttino biondo che sembrerebbe tenere nella mano sinistra la lira apollinea. Dietro l’albero a sinistra due satiri: il primo con la testa fra le mani guarda inorridito verso la scena principale, l’altro si volta verso lo sfondo, in cui riusciamo a distinguere appena abbozzata la figura di Mida, con scettro, corona e orecchie a punta. In primo piano su una pietra è incisa la parola “OPPRESSIT”. Durante il suo percorso artistico, Luca Giordano torna più volte sul tema della punizione di Marsia: inizialmente crea una variazione in controparte della composizione del 1637 del maestro, Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto (Cfr. scheda opera 71); nella tela dell’Escorial è presente più di uno spunto tratto da questa sua prima versione (Cfr. scheda opera 73), dalla figura di Apollo, con un piede sul corpo di Marsia e il mantello svolazzante, a quella del satiro disperato con la testa tra le mani. Assente sia nella tela del Ribera che nella copia del Giordano, entrambe conservate al Museo di Capodimonte, qualsiasi riferimento alla figura di Mida, personaggio legato alla contesa musicale tra Apollo e Pan ma che viene spesso inserito dagli artisti all’interno delle raffigurazioni del mito di Marsia. Questi si ritrova invece nella tela di Caserta (Cfr. scheda opera 75), in cui il re viene indicato da due giovani satiri. In questo caso, la costruzione prospettica del dipinto mette Mida quasi al centro della composizione in una posizione privilegiata, e grazie a un’interessante gioco di sguardi, l'attenzione, inizialmente focalizzata sul supplizio subito da Marsia, trova un riscontro immediato – quasi uno specchio – nel volto disperato del primo satiro; la lettura prosegue poi con lo sguardo indagatore e accusatore del secondo che si volge indietro verso Mida, che a sua volta riporta l’attenzione su Marsia. Il punto focale della scena resta in ogni caso Marsia, anche se l’attenzione dell’artista sembra indugiare qualche istante anche sull’esempio negativo di Mida, il re stolto che giudicò non correttamente l’esito della contesa musicale; lo sguardo indagatore del satiro voltato all’indietro sembra quasi un monito, come a dire che non solo la presunzione cieca di Marsia ha delle conseguenze terribili, ma che anche un giudizio dato in maniera superficiale come quello di Mida è degno di una punizione esemplare; il particolare gioco di sguardi prima descritto potrebbe portare a una lettura ancora diversa in cui Mida con il suo giudizio oltre a causare l’ira divina verso di sé, sarebbe in parte anche una causa della condanna di Marsia, come a dire che un giudizio avventato e poco intelligente può generare delle conseguenze che vanno al di là di ogni previsione.
Chiara Mataloni