75: Apollo e Marsia

Titolo dell’opera: Apollo e Marsia

Autore: Luca Giordano e bottega

Datazione: 1687-1689

Collocazione: Caserta, Palazzo Reale

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (118 x 172 cm)

Soggetto principale: al centro Marsia scorticato; sulla sinistra Apollo si allontana sul suo carro

Soggetto secondario: in primo piano Mida si dispera; fauni, satiri e ninfe

Personaggi: Apollo, Marsia, Mida, fauni, satiri e ninfe

Attributi: corona d’alloro, carro del Sole, aureola luminosa (Apollo); siringa, zampe caprine, barba, corna (Marsia); corona, orecchie d’asino (Mida)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Ferrari O., Scavizzi G., Luca Giordano. L’opera completa, Electa Napoli, Napoli 1992, pp. 269-270; Luca Giordano 1634-1705, catalogo della mostra (Napolo, Vienna, Los Angeles 2001-2002), a cura di Spinosa N., Electa, Napoli 2001, pp. 302-303

Annotazioni redazionali: Nella Reggia di Caserta sono conservate quattro tele raffiguranti il mito di Apollo e Marsia, il Ratto delle Sabine, Orazio Coclite e Semiramide a Babilonia; queste, insieme alle Allegorie dei quattro continenti, fanno parte di un gruppo di dipinti messo in relazione con alcune tele di soggetto identico oggi sparse in varie residenze reali spagnole e realizzate nel 1687 per Maria Ludovica di Borbone, prima moglie di Carlo II d’Asburgo e regina di Spagna, di cui quelle di Caserta sono delle repliche di bottega. Fara Fusco grazie ad un documento trovato nell’Archivio di Stato di Napoli è riuscita a ricostruire la storia di queste tele: di proprietà di Giulio Navarreta, marchese della Terza, furono acquistate da un certo Felice Giannattasio, il quale le vendette nel 1813 alla corte francese di Napoli, che le destinò inizialmente alla Reggia di Capodimonte; già prima del 1821, a restaurazione borbonica avvenuta, passarono nelle collezioni del Real Museo Borbonico, per essere poi trasferite nel 1957 nel nuovo Museo di Capodimonte e di qui in consegna al Palazzo Reale di Napoli prima, e alla Reggia di Caserta poi (Ferrari, 1992). La tela mostra un’iconografia insolita, quella del momento immediatamente successivo alla punizione di Marsia. Il satiro è privo di sensi, legato a un albero, con il braccio destro bloccato sopra la testa e completamente scuoiato; ai suoi piedi la siringa usata nella contesa musicale contro Apollo. Il dio, dopo aver torturato l’arrogante contendente, sta per lasciare la scena su un carro trainato da due cavalli bianchi che lo identifica come dio del Sole. Apollo, con la testa circondata da una sorta di aureola luminosa, indossa ancora la corona d’alloro, a ricordare la vittoria schiacciante nella contesa musicale. Intorno ai due protagonisti, troviamo varie figure, per lo più satiri e ninfe, la cui presenza è perfettamente in linea con i versi finali del racconto ovidiano in cui si dice che in molti accorsero per assistere alla terribile fine del loro compagno Marsia. In primo piano sulla destra, leggermente defilato rispetto alla scena principale, è il re Mida, riconoscibile dalla corona e dalle lunghe orecchie asinine, simbolo della punizione infertagli da Apollo per aver dato la vittoria, in un’altra celebre contesa musicale, al suo rivale, Pan. Il re sembra molto provato dall’accaduto, e si volta per non guardare ulteriormente (un atteggiamento simile si era già registrato nel disegno di Giulio Romano, servito come modello per l’affresco di Palazzo Te a Mantova – Cfr. scheda opera 40). Due piccoli satiri sdraiati in primo piano lo indicano guardandosi con aria corrucciata, quasi a volerlo accusare dell’accaduto, come se la fine di Marsia non dipendesse unicamente dalla sua tracotanza, ma anche dalla stoltezza del giudizio di Mida.

Chiara Mataloni