50: Apollo e Marsia

Titolo dell’opera: La contesa di Apollo e Marsia

Autore: Jacopo Robusti, detto il Tintoretto (1518-1594)

Datazione: 1544-1545

Collocazione: Hartford, Wadsworth Atheneum

Committenza: Pietro Aretino (1492-1556) ???

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (137 x 236 cm)

Soggetto principale: contesa musicale tre Apollo e Marsia

Soggetto secondario: Minerva e tre giudici discutono sull’esito della gara

Personaggi: Apollo, Marsia, Minerva, tre giudici

Attributi: lira da braccio, corona d’alloro, albero di lauro (Apollo); flauto (Marsia); lancia, scudo (Minerva)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Schulz J., Venetian painted ceilings of the Renaissance, University of California Press, Los Angeles 1968, p. 117; De vecchi P., L’opera completa del Tintoretto, Rizzoli, Milano 1970, p. 89 n. 28; Pallucchini R., Rossi P., Tintoretto. Le opere sacre e profane, Electa, Milano 1982, vol. I, pp. 143-144, n. 82, vol. II, fig. 103; Weddigen E., Jacopo Tintoretto und die Musik, in “Artibus ef Historiae”, X. 1984, pp. 67-119; Gentili A., Da Tiziano a Tiziano, mito e allegoria nella cultura veneziana del Cinquecento, Bulzoni, Roma 1988, pp. 225-227; Wyss E., The myth of Apollo and Marsyas in the art of the Italian Renaissance : an inquiry into the meaning of images, University of Delaware Press, Newark 1996, pp. 114-116; Echols R., “Jacopo nel corso, presso al palio”: dal soffitto per l’Aretino al “Miracolo dello Schiavo”, in Jacopo Tintoretto nel quarto centenario della morte, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Venezia, 24-26 novembre 1994), a cura di Rossi P., Puppi L., Il Poligrafo, Padova 1996, pp. 77-81

Annotazioni redazionali: la tela di Hartford è stata identificata già dall’inizio del XX secolo da una parte della critica (Thode, 1901) con una delle due opere realizzate dal Tintoretto per il soffitto della casa veneziana di Pietro Aretino. Sappiamo infatti che l’artista ricevette questo incarico e in una lettera del 1545 il poeta lo ringrazia del lavoro: “E belle e pronte e vive in vive, in pronte e in belle attitudini da ogni uomo ch’è di perito giudicio sono tenute le due istorie: una in la favola di Apollo e Marsia, e l’altra in la novella di Argo e mercurio, da voi così giovane quasi dipinte in meno spazio di tempo che non si mise in pensare al ciò che dovevate dipingere nel palco de la camera, che con tanta soddisfazione mia e d’ognuno voi m’avete dipinta” (Lettere sull’arte di Pietro Aretino, commentate da Pertile F., a cura di Camesasca E., Milano 1957, vol. II, pp. 52-53). Sappiamo dunque che la commissione consisteva in due opere, una con il mito di Mercurio e Argo, di cui non si sa più nulla, l’altra con la “favola di Apollo e Marsia”. Questa presunta identificazione ha ovviamente generato un dibattito tra i critici: chi si oppone a questa ipotesi (Arcangeli, 1955; Pallucchini, 1974-75) ritiene impossibile che Tintoretto avesse realizzato un dipinto di questo genere per un soffitto a pochi anni dai famosi ottagoni oggi conservati nella Galleria Estense di Modena (Cfr. scheda opera 47), prova indiscutibile di maestria prospettica e di scorcio in linea con la visione dal basso. La tela in questione, infatti, esulando da qualsiasi sperimentazione prospettica, è realizzata secondo la tecnica del quadro riportato, diffusissima nei primi decenni del Cinquecento, in particolare nel Centro Italia. A tal proposito, Jorgen Schulz (1968), concorde col Thode ad identificare la tela con una delle due realizzate per il soffitto dell’Aretino, sottolinea l’origine toscana di quest’ultimo e la sua grande amicizia con il fiorentino Francesco Salviati, autore – appena cinque anni – prima della decorazione ad affresco di un soffitto di Palazzo Grimani a Venezia, in cui compare il mito di Marsia sempre come “quadro riportato” (Cfr. scheda opera 46). Alla luce di tutto ciò, Schulz ipotizza che l’Aretino avesse commissionato intenzionalmente un tipo di decorazione lontana dal gusto veneziano, ma in linea con quello del Centro Italia; il dipinto di Hartford quindi rappresenterebbe “esattamente l’espressione aggiornata del gusto tosco-romano che sarebbe piaciuto all’Aretino” (Echols, 1996, p. 77). Da un punto di vista iconografico, la tela rappresenta sulla sinistra il momento della contesa musicale tra Apollo e Marsia, a destra i giudici che assistono alla gara. I due contendenti hanno appena finito di suonare, Apollo ha appena staccato l’archetto dalla sua lira da braccio, il suo sguardo appare ancora assente, come se fosse rapito dalla sua stessa musica; al contrario Marsia osserva con aria preoccupata il suo rivale. Al centro della composizione troviamo Minerva, vestita di bianco e riconoscibile dalla lancia e dallo scudo con il volto della Gorgone su cui poggia un piede; volge lo sguardo alla sua sinistra verso un gruppo di tre uomini, giudici della contesa, in particolare verso l’uomo in piedi e di profilo con l’abito verde che sembra stia parlando, ascoltato dagli altri. Rispetto ad altre opere quindi, in questa tela viene data più importanza al momento del giudizio, piuttosto che a quello della contesa musicale o della punizione di Marsia. La Wyss spiega questa apparente anomalia analizzando i temi che teoricamente decoravano il soffitto dell’Aretino e cercando di trovare un filo logico: innanzitutto si tratta di due episodi musicali in cui prevale la musica divina; inoltre, nel caso della tela perduta con Mercurio e Argo è possibile interpretare il soggetto come un’allegoria del potere dell’eloquenza. In quest’ottica il fatto che nel dipinto venga data tanta attenzione al momento della dialettica e del giudizio non è più tanto anomalo, specie se si tiene conto che già da tempo si tende a riconoscere, a ragione, nell’uomo vestito di verde proprio un ritratto dell’Aretino, quasi a volerne sottolineare il ruolo determinante all’interno dell’ambito culturale del tempo (Wyss, 1996, pp. 115-116).

Chiara Mataloni