49: Apollo e Marsia

Titolo dell’opera: Apollo e Marsia

Autore: Jacopo Robusti, detto il Tintoretto (1518-1594)

Datazione: 1543-1544

Collocazione: Padova, Museo Civico

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (198 x 133 cm)

Soggetto principale: Apollo lega Marsia ad un albero per scorticarlo

Soggetto secondario: sullo sfondo la contesa musicale tra Apollo e Marsia con Minerva e un giudice

Personaggi: Apollo, Marsia, Minerva, giudice

Attributi: lira, corona d’alloro (Apollo); barba, albero, flauto (?) (Marsia); lancia (Minerva)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Rossi P., Otto Tintoretti restaurati, catalogo della mostra dicembre-gennaio 1978-1980, Tip. Antoniana, Padova 1979; Rossi P., in Da Tiziano a El Greco. Per la storia del Manierismo a Venezia. 1540-1590, Electa, Milano 1981, p. 152; Pallucchini R., Rossi P., Tintoretto. Le opere sacre e profane, Electa, Milano 1982, vol. I, pp. 141-142, vol. II, fig. 90; Da Bellini a Tintoretto: dipinti dei Musei civici di Padova dalla meta del Quattrocento ai primi del Seicento, a cura di Ballarin A., Banzato D., Leonardo-De Luca, Roma 1991, p. 187; Guthmüller B., Tintoretto e Ovidio. Il problema dei testi mediatori, in Jacopo Tintoretto nel quarto centenario della morte, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Venezia, 24-26 novembre 1994), a cura di Rossi P., Puppi L., Il Poligrafo, Padova 1996, pp. 257-262; Guthmüller B., Tintoretto e Ovidio: il problema dei testi mediatori, in Mito, Poesia, Arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Bulzoni, Roma 1997, pp. 275-289

Annotazioni redazionali: l’opera fa parte di un ciclo di otto tele dipinte con soggetti mitologici conservate al Museo Civico di Padova e attribuite al giovane Tintoretto. Secondo Paola Rossi (1982), il ciclo – la cui destinazione originaria resta sconosciuta data la mancanza di documenti – era composto anche da altri due dipinti, oggi in collezione privata, simili per stile e provenienza. Le tele, in origine di formato rettangolare, furono tagliate per essere inserite in un dossale ligneo; le dimensioni originarie furono ripristinate verso la metà del Settecento, attraverso delle aggiunte lasciate ben visibili durante gli ultimi restauri. Per quanto riguarda i soggetti rappresentati, il ciclo viene genericamente indicato come ispirato alle Metamorfosi di Ovidio; più precisamente, la Rossi sostiene che le tele “non rivelano un preciso legame. Tre episodi [Cercòpi mutati in scimmie, Deucalione e Pirra, Giove e Semele] si rifanno puntualmente alle Metamorfosi di Ovidio, altri tre [Apollo e Marsia, Venere e Adone, compianto di Adone morto] possono pure averne tratto liberamente lo spunto, uno raffigura il Giudizio di Paride e un altro una scena mitologica non identificata”. Come sottolineato da Bodo Güthmuller (1996; 1997), confrontando l’opera con il testo ovidiano si notano troppe discrepanze, spiegabili solo ipotizzando che Tintoretto abbia usato una fonte diversa, identificata dallo studioso con la traduzione delle Metamorfosi in ottava rima di Niccolò degli Agostini, stampata la prima volta a Venezia nel 1522; l’ipotesi si basa sul confronto di tutte le tele del ciclo con i rispettivi racconti di Ovidio e dell’Agostini. La porzione maggiore del dipinto è occupata dalla scena del supplizio di Marsia: in particolare viene colto il momento in cui Apollo stesso lega il suo rivale ad un albero per scorticarlo, dettaglio non presente in Ovidio (Marsfc14) ma nel testo dell’Agostini, in cui leggiamo: “(...) Onde per questo ristando vincente/ Apollo il prese, e senza resistenza/ Ad un tronco di faggio lo legoe/ Et con sua propria mano lo scorticoe” (Marsfr06). Sullo sfondo si distinguono appena quattro figure, tra cui identifichiamo senza problemi Apollo che suona la sua lira, Minerva riconoscibile dalla lancia, e due personaggi seduti: uno è sicuramente Marsia, l’altro probabilmente un giudice della contesa musicale. Ovidio non descrive la gara musicale, ma solo il suo tragico epilogo; mentre nel testo di Niccolò degli Agostini troviamo ancora una volta un riferimento preciso alle scelte iconografiche del Tintoretto, in particolare per quanto riguarda la presenza di un giudice; l’inserimento di Minerva potrebbe essere stato determinato dal fatto che Agostini racconti approfonditamente anche l’antefatto della storia di Marsia, l’invenzione del flauto da parte della dea, il banchetto degli dei e il successivo rifiuto dello strumento musicale. 

Chiara Mataloni