47: Apollo e Marsia

Titolo dell’opera: Apollo e Marsia

Autore: Jacopo Robusti, detto il Tintoretto (1518-1594)

Datazione: 1540 ca. (1541-1542)

Collocazione: Modena, Galleria Estense

Committenza: Vettore Pisani di san Paternian

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tavola (153 x 133 cm)

Soggetto principale: Marsia suona il flauto; Apollo e due giudici ascoltano

Soggetto secondario:

Personaggi: Marsia, Apollo, due giudici

Attributi: flauto (Marsia); lira (Apollo)

Contesto:

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Pallucchini R., I dipinti della Galleria Estense di Modena, Cosmopolita, Roma 1945; De Vecchi P., L’opera completa del Tintoretto, Rizzoli, Milano 1970, pp. 86-87, n. 12 D; Pallucchini R., Rossi P., Tintoretto. Le opere sacre e profane, Electa, Milano 1982, vol. I, pp. 134-135, vol. II, fig. 28; Guthmüller B., Tintoretto e Ovidio. Il problema dei testi mediatori, in Jacopo Tintoretto nel quarto centenario della morte, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Venezia, 24-26 novembre 1994), a cura di Rossi P., Puppi L., Il Poligrafo, Padova 1996, pp. 257-262; Mason S., Intorno al soffitto di San Paternian: gli artisti di Vettore Pisani, in Jacopo Tintoretto nel quarto centenario della morte, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Venezia, 24-26 novembre 1994), a cura di Rossi P., Puppi L., Il Poligrafo, Padova 1996, pp. 71-75; Guthmüller B., Tintoretto e Ovidio: il problema dei testi mediatori, in Mito, Poesia, Arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Bulzoni, Roma 1997, pp. 275-289; Cieri Via, L’Arte delle Metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Lithos, Roma 2003, pp. 104-114

Annotazioni redazionali: la tavola fa parte di una serie di sedici ottagoni realizzati dal Tintoretto intorno al 1540. Sappiamo che già nel 1658 i dipinti furono venduti al duca Francesco I e inviati a Modena, dove sono tutt’ora conservati. I dipinti erano destinati a un soffitto del Palazzo dei Conti Pisani di San Paterniano nel sestiere di San Marco a Venezia e sono tutti caratterizzati da una forte audacia prospettica, in cui predomina la visuale del sottinsù, memore secondo gran parte della critica delle ricerche di qualche anno prima di Giulio Romano negli affreschi di Palazzo Te a Mantova. Gli ottagoni presentano dei soggetti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio: Deucalione e Pirra, Apollo e Dafne, Fetonte, Icaro, Trasformazione dei Lici, Punizione di Niobe, Apollo e Marsia, Mercurio e Argo, Orfeo e Euridice, Piramo e Tisbe, Vulcano e Venere, Giove e Europa, Giove e Antiope. Si tratta di temi relativi all’amore e ad esempi di superbia punita. Seguendo l’analisi di Bodo Guthmüller, confrontando attentamente l’iconografia degli ottagoni con i rispettivi racconti ovidiani, emergono delle differenze molto evidenti che hanno portato lo studioso ad avanzare una fonte diversa, la traduzione in ottava rima delle Metamorfosi di Nicolò degli Agostini pubblicata nel 1522 a Venezia. L’ottagono rappresenta i due contendenti in primo piano, Marsia sta suonando il flauto, mentre Apollo tiene in mano la sua lira da braccio e si rivolge verso due personaggi sullo sfondo, probabilmente due giudici della gara. Dato il forte scorcio del dipinto, in primo piano troviamo le gambe del dio e del satiro – rappresentato, come è consono nell’arte rinascimentale, come un uomo – a sottolineare attraverso la contrapposizione tra i calzari del primo e i piedi nudi del secondo la differenza di ceto tra i due (Cieri Via, 2003). Riprendendo in mano il testo ovidiano, ci si accorge immediatamente che Ovidio non parla affatto della contesa musicale rappresentata da Tintoretto, ma solo del suo tragico epilogo (Marsfc14); il fatto che nell’ottagono sia raffigurata la gara musicale, insieme alla presenza dei due giudici sullo sfondo, ha portato parte della critica a leggere l’episodio come il Giudizio di Mida nella contesa tra Apollo e Pan. In realtà, come sottolinea Claudia Cieri Via “nell’ottagono Marsia è rappresentato, come è descritto dalla maggior parte degli autori antichi, nelle vesti di un pastore e non di un satiro, connotazione imprescindibile invece per Pan”, cui tra l’altro mancherebbe la siringa, il suo strumento per eccellenza (Cieri Via, 2003, p. 108). Tornando all’ipotesi di Guthmüller (1997), le varie anomalie iconografiche riscontrate nell’opera del Tintoretto si spiegano solo facendo ricorso al testo dell’Agostini, in cui – oltre ad essere dato ampio spazio alla contesa musicale – Marsia viene descritto come un villano, e non un satiro, che suona la “ciaramella”, lo strumento dipinto nell’ottagono, e in cui viene segnalata la presenza di un giudice a  decidere l’esito della contesa (Marsfr06). La presenza nell’ottagono di due figure sullo sfondo, due ipotetici giudici della contesa, uno meno visibile dell’altro, potrebbe lasciare perplessi; in realtà, nella xilografia che corredava il testo del 1522 si trova la medesima anomalia (Cfr. scheda opera 37), generata forse dall’ambiguità del passaggio dell’Agostini, “Ma vo che fra noi dui giudice fia”, dove quel “dui” potrebbe essere stato riferito erroneamente a “giudice” piuttosto che a “noi”. La stessa fonte rinascimentale viene indicata da Guthmüller (1997) anche per il ciclo di tele mitologiche di Padova, cui si rimanda alla scheda opera 49.

Chiara Mataloni