45: Apollo e Marsia

Titolo dell’opera: Apollo e Marsia

Autore: Michelangelo Anselmi Parmese (1491/1492-1554/1556)

Datazione: 1540 ca.

Collocazione: Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tavola, 55.9 x 117 cm

Soggetto principale: contesa musicale tra Apollo e Marsia

Soggetto secondario: a destra Minerva suona lo strumento a fiato appena inventato specchiandosi in un lago; a sinistra Apollo, battuto Marsia, sta per scorticarlo

Personaggi: Apollo, Marsia, Minerva

Attributi: lira da braccio, arco, frecce, corona d’alloro (Apollo); flauto/zampogna, barba, albero (Marsia); elmo, lancia, scudo, flauto/zampogna (Minerva)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: http://www.nga.gov/cgi-bin/pimage?497+0+0

Bibliografia: Winternitz E., The Curse of Pallas Athena. Notes on a “Contest between Apollo and Marsyas” in the Kress Collection, in Studies in the History of Art dedicate to William E. Suida, Phaidon, Londra 1959, pp. 186-195; Ghidiglia Quintavalle A., Michelangelo Anselmi, Nazionale Tipografia Editrice, Parma 1960; Brown D.A., An Apollo and Marsyas by Anselmi, in “Antologia di Belle Arti”, I, 1977, n. 1, pp. 2-6; Viatte F., Michelangelo Anselmi, in L'oeil du connaisseur: dessins italiens du Louvre: hommage a Philip Pouncey, Reunion des Musees Nationaux, Parigi 1992, n. 23, pp. 62-63; Wyss E., The myth of Apollo and Marsyas in the art of the Italian Renaissance : an inquiry into the meaning of images, University of Delaware Press, Newark 1996, pp. 85-86; Fadda E., Michelangelo Anselmi, Allemandi, Torino 2004

Annotazioni redazionali: questa tavola conservata a Washington ha da sempre messo in difficoltà la critica, molto divisa circa la sua attribuzione. Inizialmente attribuita da Adolfo Venturi e Bernard Berenson a Piero di Cosimo, nel 1930 Fiocco, Longhi e Suida fecero il nome del Beccafumi; ancora nel 1958 William Suida si pronunciò a favore del Sodoma, mentre Pietro Longhi l’attribuiva a Baldassarre Peruzzi (Brown, 1977). Il dipinto fu poi pubblicato nel catalogo della National Gallery di Washington come opera di “Scuola senese, inizio XVI sec.”; nel 1959 Emanuel Winternitz in una nota al suo articolo in cui analizza l’iconografia dell’opera, basandosi sulla resa del paesaggio ipotizza un autore di origine nordica. Il primo ad avanzare con una certa sicurezza il nome di Michelangelo Anselmi è Daniel Brown nel suo intervento del 1977; la sua ipotesi si basa su analogie stilistiche con altre opere attribuite all’artista, e in particolare su un disegno conservato al Louvre, attribuitogli unanimemente, raffigurante una testa femminile che Brown avvicina al volto di Apollo della tavola. Questa ipotesi viene rifiutata da François Viatte (1992), e di conseguenza, il dipinto non compare nella recente monografia dedicata a Michelangelo Anselmi da Elisabetta Fadda (2004). In ogni caso, sul sito internet della National Gallery di Washington persiste l’attribuzione all’Anselmi. Michelangelo Anselmi nasce tra Lucca e Siena intorno al 1492; fu allievo del Sodoma e di Bartolomeo Neroni, non estraneo alle influenze del Beccafumi. Intorno al 1515 si reca a Parma, città nativa del padre, dove è attivo come pittore a partire dal 1520 ininterrottamente fino alla sua morte, a parte alcuni brevi soggiorni a Venezia, Mantova, e Siena. Tra il 1522 e il 1523 seguì gli affreschi nei costoloni, nelle absidi del transetto e in due cappelle della chiesa di San Giovanni Evangelista, lavorando a stretto contatto con il Parmigianino e il Correggio.  Muore a Parma nel 1556. Da un punto di vista iconografico, l’opera è stata analizzata a fondo da Emanuel Winternitz nel 1959. Vi sono rappresentati tre episodi della storia di Marsia, l’invenzione e il rifiuto del flauto da parte di Minerva, la contesa musicale tra Apollo e Marsia, e la punizione di quest’ultimo. L’episodio di Minerva occupa la porzione destra del dipinto. La dea è raffigurata come una giovane e affascinante donna, con una veste rosa svolazzante; i suoi attributi classici poggiati in terra la identificano inequivocabilmente come Minerva. Il momento scelto dall’artista è quello in cui la dea, suonando lo strumento da lei inventato – tradizionalmente l’aulòs, in questo caso una zampogna – si specchia in un lago rendendosi conto della deformità del suo viso; a seguito di questo episodio getta via lo strumento, maledicendo l’oggetto e chiunque l’avesse raccolto. La porzione centrale della tavola è occupata dalla scena della contesa musicale tra Apollo e Marsia. Questi, seduto su una roccia, tiene in mano proprio la zampogna inventata da Minerva. Il dio è in piedi, al centro del dipinto, e suona la sua lira da braccio, lo sguardo sognante rivolto verso lo spettatore, come fosse completamente rapito dalla sua stessa musica. Apollo è riconoscibile anche dalla corona d’alloro, l’arco poggiato in terra e le sue frecce, tenute nella custodia sulle spalle. Il racconto si conclude con la scena della punizione di Marsia, le mani dietro la schiena legate ad un albero; l’uomo è completamente nudo, il suo abito rosso e verde è in terra, così come lo strumento musicale che gli costerà la vita, la zampogna. Accanto a lui Apollo nelle vesti dell’aguzzino: il dio, abbandonato lo strumento musicale e le sue frecce, tiene in mano un coltello con cui sta iniziando ad incidere la pelle del suo rivale, che sarà presto scuoiato vivo. Come notato dal Winternitz, l'autore della tavola si ispirò all'incisione del Maestro “ia” contenuta nell’Ovidio Metamorphoseos vulgare pubblicato a Venezia nel 1497 (Cfr. scheda opera 31), in cui troviamo - a parti invertite - i tre episodi del dipinto. Unica differenza rispetto alla xilografia del 1497 il fatto che in essa è Marsia a suonare, non Apollo come nel dipinto. Winternitz spiega questa incongruenza facendo riferimento ad un’altra illustrazione dell’Ovidio del 1497, quella illustrante la contesa musicale tra Apollo e Pan (http://visualiseur.bnf.fr/CadresFenetre?O=IFN-2200018&I=37&M=imageseule), in cui Apollo è raffigurato come nella tavola di Washington. Poste le numerose analogie, tra il dipinto e la xilografia esistono chiaramente delle differenze, come il ruscello che nasce dal sangue caduto di Marsia o le ninfe e i satiri che popolano lo sfondo del dipinto. Per il primo particolare, la fonte utilizzata è comunque l’Ovidio Metamorphoseos Vulgare del 1497 (Marsfm13), mentre per quanto riguarda le figure sullo sfondo Anselmi deve essersi ispirato a una fonte, grafica o letteraria, più vicina all’originale ovidiano (Wyss, 1996).

Chiara Mataloni