Titolo dell’opera: Favola di Apollo e Marsia
Autore: Agnolo di Cosimo, detto il Bronzino (1503-1572)
Datazione:
Collocazione: collezione privata
Committenza: Guidobaldo II della Rovere (1514-1574)
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tavola di noce (82 x 122,5 cm)
Soggetto principale: contesa musicale tra Marsia e Apollo con Minerva e Mida come giudici
Soggetto secondario: Apollo scortica Marsia; Apollo, davanti a Minerva, punisce Mida con delle orecchie d’asino; il barbiere di Mida rivela il suo segreto
Personaggi: Apollo, Marsia, Minerva, Mida, barbiere
Attributi: lira, alloro, coltello (Apollo); flauto, pelle scuoiata (Marsia); elmo, lancia, scudo (Minerva); corona, orecchie d’asino (Mida); buco nella terra, canne (barbiere)
Contesto: scena all’aperto con una rocca sullo sfondo
Precedenti: Bronzino, disegno preparatorio per la figura di Marsia e per la figura di Mida, Parigi, Louvre
Derivazioni: anonimo, Lo scorticamento di Marsia, 1531-32, olio su tela (48 x 119 cm), San Pietroburgo, Hermitage
(http://www.hermitagemuseum.org/tmplobs/S64L0$3DWU2G_23ZU$3.jpg);
Giulio Sanuto, incisione a bulino su tre fogli, 1562 (Cfr. scheda opera 56)
Immagini:
Bibliografia: Winternitz E., Musical instruments and their symbolism in Western Art, Faber & Faber, Londra 1967; Spike J.T., L'Apollo e Marsia del Bronzino, in “FMR”, edizione italiana, 14, 1995, n. 109, pp. 14-24; Wyss E., The myth of Apollo and Marsyas in the art of the Italian Renaissance: an inquiry into the meaning of images, University of Delaware Press, Newark 1996, pp. 108-112; Spike J.T., La favola di Apollo e Marsia di Agnolo Bronzino, Polistampa, Firenze 2000; Spike J.T., Apollo e Marsia dipinto da Bronzino a Pesaro per Guidubaldo II Della Rovere, in I Della Rovere nell'Italia delle corti, a cura di Cleri B., QuattroVenti, Urbino 2002, vol. 2 Luoghi e opere d'arte, pp. 69-78
Annotazioni redazionali: questo dipinto è stato scoperto di recente, nel 1994, in una collezione privata, attribuito correttamente al Bronzino. Si tratta di un pannello in noce dipinto a olio che era in origine parte della cassa protettiva di un arpicordo. Grazie alla testimonianza del Vasari, sappiamo che si tratta di una delle quattro opere eseguite dal Bronzino durante il suo soggiorno nel ducato di Urbino tra il 1530 e il 1532: in particolare, la tavola fu commissionata da Guidobaldo II della Rovere e Vasari la ricorda come “una cassa d’arpicorda piena di figure, che fu cosa rara” (Vasari G., Le Vite, 1568, ed. consultata 2002, p. 1339). La notazione del Vasari non fa alcun riferimento al soggetto di questa “cassa”, ma la lacuna viene ben presto colmata da Raffaello Borghini nel Riposo (1584). Dopo questo riferimento, la tavola sembra sparire; non troviamo più alcun documento a riguardo, fino alla fortunata scoperta del 1994. Prima del ritrovamento però, si credeva che l’opera di cui parlano le fonti cinquecentesche fosse la tela conservata all’Hermitage di San Pietroburgo, ancora oggi attribuita da alcuni al Bronzino (http://www.hermitagemuseum.org/tmplobs/S64L0$3DWU2G_23ZU$3.jpg); si tratta di una copia antica piuttosto fedele dell’originale, da cui differisce sostanzialmente solo per le dimensioni. La vicenda di questa tela è molto interessante; l’opera infatti, fu replicata nel 1562 in una grande incisione su tre fogli dal veneziano Giulio Sanuto, che riprese fedelmente il taglio compositivo orizzontale e le varie figure, modificando lo sfondo e introducendo dei cartigli esplicativi e il gruppo delle Muse (Cfr. scheda opera 56). Sanuto dedicò la sua incisione ad Alfonso d’Este duca di Ferrara e attribuì erroneamente l’originale al “famosissimo Antonio da Correggio”. Questo errore fece sì che la copia dell’Hermitage, ai tempi ritenuta un’originale, fosse a lungo attribuita al Correggio e con questa attribuzione acquistata nel 1865 dallo zar di Russia (Spike, 2000). John T. Spike evidenzia alcuni tratti indiscutibili che provano l’originalità e la paternità del Bronzino per la tavola recentemente scoperta e il conseguente declassamento della tela dell’Hermitage da presunto originale a copia. Per prima cosa il materiale: l’uso di legno di noce come supporto è piuttosto particolare, dal momento che normalmente il legno più usato era il pioppo, e si spiegherebbe con la particolare funzione dell’opera in esame che doveva costituire uno dei pannelli della cassa di un’arpicorda. L’altro elemento determinante è il paesaggio sullo sfondo della tavola, assente nella tela dell’Hermitage, e facilmente identificabile con la Rocca di San Leo, una delle fortezze dei Della Rovere, committenti dell’opera, costruita da Francesco di Giorgio Martini, poco distante da Pesaro. Spike sottolinea anche la forte simbologia della rocca, posta nel dipinto perpendicolarmente rispetto alla scena di Apollo che scortica Marsia: “come la ragione divina di Apollo è riuscita a sottomettere la rozza sensualità di Marsia, così la rocca di San Leo (...) simboleggia la supremazia dei duchi di Urbino sui loro domini” (Spike, 2000, p. 18). La tavola, ricordata come la Favola di Apollo e Marsia, presenta quattro scene diverse dislocate all’interno di un paesaggio roccioso. La narrazione inizia sulla destra, dove è rappresentata la contesa musicale, procede al centro con lo scorticamento di Marsia da parte di Apollo, per poi spostarsi sullo sfondo con la punizione del re Mida, e terminare in primo piano a sinistra con l’epilogo della vicenda di Mida. La prima scena, quella della contesa musicale, è l’unica di cui abbiamo alcuni disegni preparatori, oggi conservati al Louvre. I due contendenti si fronteggiano, suonando contemporaneamente la lira da braccio e una specie di trombetta. A giudicare la gara una giovane e sensuale Minerva e re Mida, coppia di giudici inedita, mai citata insieme dalle fonti classiche. Da notare l’accentuazione del rossore delle guance di Marsia, dovuto allo sforzo impiegato per suonare il flauto-trombetta, e la particolare attenzione che sembra dare Minerva a questo particolare: le fonti, infatti, raccontano che fu proprio la dea ad inventare il flauto e a liberarsene subito dopo perché il suonarlo le deformava il volto rendendola brutta. Bronzino unisce insieme due miti diversi, quello di Marsia e della sua contesa con Apollo e quello di Mida, giudice della contesa tra Apollo e Pan, punito a seguito di questa con delle orecchie d’asino. Sebbene i due episodi in questione furono spesso confusi sia a livello letterario (Marsfc23; Marsfm03), sia a livello iconografico (Cfr. scheda opera 44 e scheda opera 47), in questa tavola Bronzino non si limita ad inserire Mida tra i giudici, ma dedica ben due dei quattro episodi alla sua storia. Analizzando la scena della contesa, Edith Wyss rintraccia una fonte plausibile per la scelta particolare di Bronzino di accoppiare come giudici Minerva e Mida nel Commento alla Divina Commedia di Cristoforo Landino del 1484, in cui leggiamo “Sedevono iudici Minerva et Mida re di Lidia; vinxe Appolline secondo el vero iudicio di Minerva, ma Mida chome indocto favorì a Marsia. Il perché Apolline fece a Mida orecchi d'asino, et Marsia scorticò; della vagina: della pelle, la quale è quasi guaina del corpo” (Marsfr02). Passando alla scena centrale dello scorticamento, Apollo, poggiati in terra con cura la lira e il suo mantello dorato, incombe con il coltello in mano sopra a Marsia; le gambe del flautista appaiono già lacerate, i muscoli in vista; lo strumento della vittima, la trombetta, è in terra, come fosse stata gettata via con rabbia. Spike sostiene che la “curiosa dolcezza con cui Apollo si china su Marsia steso a terra riflette pittoricamente l’esortazione di Dante ad Apollo nei versi iniziali del Paradiso (...)” (2000, pp. 7-8). Data la precedente indicazione di Landino come fonte per il dipinto, ci si aspetterebbe qualcosa di analogo anche dalla Wyss, che invece interpreta altrimenti l’espressione “concentrated but serene” (1996, p. 108) di Apollo. Per quanto riguarda le ultime due scene, come precedentemente detto, si riferiscono alla vicenda di re Mida a seguito del suo giudizio a favore di Pan durante la contesa tra il fauno e Apollo. Sullo sfondo Apollo, riconoscibile ancora una volta per il suo mantello giallo-dorato, sta letteralmente infilando delle orecchie d’asino a Mida come punizione per aver osato dare la vittoria a Pan piuttosto che a lui; di fronte al dio Minerva, vestita come nella scena iniziale, che porta in più un grande scudo. Non troviamo traccia della presenza della dea nelle fonti che ci parlano della punizione di Mida, anche se la sua presenza può essere giustificata in quanto divinità della sapienza da contrapporre alla stoltezza del re. Per quanto riguarda invece l’enigmatica figura in primo piano a sinistra, è stata identificata con il fedele servitore e barbiere del re, cui Mida rivelò il terribile segreto ordinandogli di tenerlo per sé. L’uomo però, non riuscendo a trattenersi, scavò una buca e chiuse lì dentro il suo segreto (nel dipinto è infatti raffigurato mentre urla in un buco scavato nella terra); in quel luogo però, crebbe un cespuglio di canne (in parte già visibili alle spalle dell’uomo), che col vento sussurravano “Re Mida ha le orecchie d’asino”, rivelando così il segreto temuto.
Chiara Mataloni