40: Apollo e Marsia

Titolo dell’opera: Il supplizio di Marsia

Autore: Anselmo Guazzi e Agostino Mozzanega

Datazione: 1527-1528

Collocazione: Mantova, Palazzo Te, camera di Ovidio, parete sud

Committenza: Federico II Gonzaga

Tipologia: dipinto paretale

Tecnica: affresco

Soggetto principale: Apollo, aiutato da uno schiavo, scortica Marsia

Soggetto secondario: un aiutante di Apollo regge la lira; un satiro accorre con un secchio d’acqua; Mida si copre gli occhi per non guardare

Personaggi: Apollo, Marsia, Mida, Scita, Satiro, aiutante

Attributi: lira, frecce (Apollo); zampe caprine, coda, orecchie a punta, barba, siringa, albero (Marsia); orecchie asinine (Mida); coltello, vestiti barbari (Scita); zampe caprine, coda, orecchie a punta, barba, corna (satiro)

Contesto:

Precedenti: Giulio Romano, Supplizio di Marsia, disegno, Parigi, Louvre (http://arts-graphiques.louvre.fr/fo/images-fo/d0100695-000.jpg)

Derivazioni:

Immagini: http://www.itis.mn.it/palazzote/

Bibliografia: Verheyen E., Correggio’s Amori di Giove, in “Journal of the Warburg and the Courtauld Institut”, 1966, XXIX, pp. 160-162; Verheyen E., Die Sala di Ovidio im Palazzo del Te, in “Romisches Jahrbuch fur Kunstgeschichte, vol. XII, 1969, pp. 161-170; Verheyen E., The Palazzo del Te in Mantua: images of love and politics, Johns Hopkins University Press, Baltimora 1977; Suitner G., Tellini Perina C., Palazzo Te a Mantova, Electa, Milano 1990, pp. 47-49; Belluzzi A., Palazzo Te a Mantova, Panini, Modena 1998, vol. I, pp. 345-352, vol. II, pp. 86-111; Calzona L., in Cieri Via C., L’arte delle Metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Lithos, Roma 2003, pp. 233-234

Annotazioni redazionali: la piccola stanza rettangolare, una delle tre del cosiddetto appartamento delle Metamorfosi insieme alla Camera delle Imprese e alla Camera del Sole, viene tradizionalmente ricordata come Camera di Ovidio. Per la sua decorazione nei documenti di pagamento del 1527 vengono nominati Anselmo Guazzi e Agostino da Mozzanica, allievi di Giulio Romano. La stanza presenta, alla base del soffitto ligneo a cassettoni, un fregio decorato ad affresco in cui si alternano pannelli con favole mitologiche e riquadri che fingono delle aperture sulla campagna circostante. I soggetti degli episodi mitologici, purtroppo molto rovinati, furono riconosciuti per la prima volta nell’Ottocento, e solo nel 1958 Hartt li collegò ad alcuni disegni di Giulio Romano conservati al Louvre e all’Albertina. Partendo dalla parete ovest in senso orario troviamo: il Giudizio di Paride, Bacco e Arianna, Fauno e menadi danzanti, Contesa musicale tra Apollo e Pan, Visita di Bacco (o Dioniso Ubriaco), Menadi e Satiro, Orfeo e Euridice di fronte a Plutone e Proserpina, e il Supplizio di Marsia. Dati i soggetti raffigurati, la denominazione Camera di Ovidio non sembrerebbe la più appropriata, dal momento che solo alcuni fanno riferimento alle Metamorfosi di Ovidio, e anche in questi pochi casi l’iconografia si distacca dalla narrazione del poema latino. Secondo un’interpretazione – oggi superata – avanzata da Egon Verheyen, questa stanza avrebbe ospitato il ciclo, mai concluso, degli Amori di Giove commissionato intorno al 1530 da Federico Gonzaga al Correggio; l’ipotesi si baserebbe sul fatto che i soggetti amorosi di queste tele concorderebbero con la notizia, suggestiva ma non documentata, che quest’ala del palazzo fosse stata destinata dal duca alla sua amante, Isabella Boschetti (Verheyen, 1966, 1969, 1977; l’ipotesi viene stroncata da Belluzzi, 1998). Lucia Calzona (2003) ritiene che gli episodi raffigurati, “evidentemente selezionati nell’intento di illustrare i temi dell’amore e della fertilità, (...) con riferimento anche ai piaceri della poesia e della musica”, possano effettivamente far pensare all’ipotetico appartamento della Boschetti; in ogni caso sembra indubbia la destinazione privata della camera. Le scene, stagliate su un fondo neutro scuro e privo di profondità presentavano delle rifiniture a secco, oggi scomparse; laddove la lettura degli affreschi diventa troppo difficoltosa si può ricorrere ai sette disegni, o meglio cartoni, a penna e acquarello di Giulio Romano. In generale, le iconografie inventate da Giulio non hanno goduto di una grande fortuna; unica eccezione Tiziano, che per la sua tela con il supplizio di Marsia si ispirò alla composizione giuliesca. Nell’affresco – poco leggibile, per cui ricorriamo al disegno del Louvre – Marsia, al centro della scena, è appeso per i piedi ad un albero che divide obliquamente il riquadro in due parti. Lo strumento musicale causa del terribile supplizio, la siringa, è appeso ad uno dei rami. Di fronte a lui Apollo, dopo aver lasciato la lira ad un suo giovane aiutante, sta finendo di sfilare la pelle del satiro; il dio è accucciato, il suo sguardo appare sereno, a contrastare quello dello schiavo scita in piedi, che punta un coltello contro Marsia. Sulla destra della composizione, al di là dell’albero, troviamo un satiro che accorre verso il suo compagno con un secchio d’acqua e re Mida (personaggio tratto da un altra contesa musicale, quella tra Apollo e Pan, anche questa raffigurata nella stanza sulla parete est), riconoscibile dalle orecchie d’asino, che si copre il volto per non dover assistere all’atroce punizione che si sta svolgendo di fronte ai suoi occhi. Giulio Romano si distacca in molti punti dall’iconografia classica e da quelle rinascimentali più diffuse, come per la posizione, assolutamente inedita, di Marsia a testa in giù, o per la scelta di raffigurare i due strumenti musicali coinvolti nella contesa all’antica, senza attualizzarli. Se il particolare di Apollo che mette in atto in prima persona la punizione inflitta al suo avversario si ritrova nelle fonti, classiche e non, e in alcune immagini (Cfr. scheda opera 31), quello del satiro con il secchio d’acqua è una sua invenzione. Come per altre due scene del fregio, la Sfida tra Apollo e Pan e Orfeo e Euridice, anche nel caso della Punizione di Marsia la Wyss (1996) chiama in causa come fonte il testo di Giovanni de’ Bonsignori (Marsfm13); in questo caso, però, la fonte non viene utilizzata tanto per il racconto fornito – molti infatti sono gli elementi discordanti – quanto per l’allegoria dello scorticamento di Marsia. Scrive a tal proposito Bonsignori: “Vento che fu Marsio, dice che Apollo lo scorticò, cioè che spogliò delle sue fallacie e sì l'insegnò le vere ragioni e fece manifesto alle genti el poco senno ch'egli avea dentro da sé”; lo scorticamento quindi simboleggia l’intervento di Apollo, la Verità, su Marsia, simbolo della menzogna, e il tentativo di instillare la verità laddove questa era assente. Nella lettura del riquadro la studiosa sottolinea come alcuni particolari siano volti a sottolineare ulteriormente la condizione degradata di Marsia, non raffigurato come un essere umano come era prassi nel Rinascimento, ma come un satiro appeso a testa in giù, da contrapporre ad Apollo, che, sereno nel strappare la pelle all’avversario, sembra quasi compiere un  gesto rituale necessario. Sempre alla luce di questa lettura, la Wyss spiega l’introduzione – data la presenza nel ciclo della contesa musicale con Pan, consapevole e non dovuta ad un errore piuttosto diffuso – e l’atteggiamento di Mida in opposizione a quello dell’aiutante di Apollo con la lira: il primo simbolo del giudizio errato e limitato che si copre gli occhi perché non riesce a guardare, e quindi a capire, quello che sta accadendo, la rivelazione della verità per mano divina; il secondo al contrario che assiste rapito allo scorticamento del sileno, in quanto degno e preparato a ricevere il messaggio sottointeso.

Chiara Mataloni