
Titolo dell'opera: Apollo e Marsia
Autore:
Datazione: 1522
Collocazione: Tutti gli libri de Ovidio Metamorphoseos tradutti dal litteral in verso vulgar con le sue allegorie in prosa, Stampato in Venetia per Iacomo da Leco a instantia de Nicolò Zoppino e Vincentio di Pollo, MDXXII, f. 13v
Committenza:
Tipologia: incisione
Tecnica: xilografia
Soggetto principale: contesa musicale tra Apollo e Marsia alla presenza di due giudici; punizione di Marsia e metamorfosi in fiume
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Marsia, giudici
Attributi: flauto, albero, fiume (Marsia)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Guthmüller B., Mito, poesia, arte: saggi sulla traduzione ovidiana nel Rinascimento, Bulzoni, Roma 1997, pp. 65-83, 97-123, 269-274
Annotazioni redazionali: l’edizione a stampa dell’Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar di Niccolò degli Agostini del 1522 comprende un ciclo di 72 xilografie, composte in parte sulla base di quelle che illustravano l’Ovidio vulgare del 1497 (Cfr. scheda opera 31). Le nuove xilografie, come le precedenti, mostrano nuovamente la raffigurazione simultanea di più momenti di uno stesso mito. Nel caso del mito di Apollo e Marsia, viene completamente eliminato l’antefatto della vicenda con l’invenzione del flauto da parte di Minerva, così come il momento finale in cui Apollo appende ad un tempio la pelle di Marsia come esempio, pur essendo entrambi momenti presenti nel testo (Marsfr06). Restano dunque il momento della contesa e quello della punizione, resi entrambi in maniera diversa rispetto alla xilografia del 1497, in un certo senso in modo più aderente al testo di riferimento. Marsia, seduto, suona il suo flauto (una “ciaramella” nel testo); di fronte a sé Apollo, in piedi, ascolta il suo rivale e tiene in mano stranamente non la cetra o la lira, strumenti a lui più consoni, ma un altro flauto. Sulla sinistra due figure maschili si consultano: si tratta evidentemente dei giudici chiamati a dare il verdetto sulla sfida dallo stesso Apollo. Il fatto che l’illustratore abbia rappresentato due giudici, quando nel testo se ne nomina uno solo, si può forse spiegare con l’ambiguità della frase usata dall’Agostini, “Ma vo che fra noi dui giudice fia”, dove quel “dui” potrebbe essere stato riferito erroneamente a “giudice” piuttosto che a “noi”. Diversa anche la scena della punizione, in cui Marsia non è più seduto ma legato ad un albero per le mani; questo dettaglio, assente nel testo di Bonsignori e nella relativa xilografia, viene introdotto proprio nell’edizione del 1522. Nell’incisione troviamo anche un altro particolare interessante: infatti, mentre Apollo sta scuoiando vivo il suo rivale, vediamo ai piedi del pastore Marsia il fiume nato dal suo sangue e che porterà il suo nome per tutta la Frigia, proprio come racconta Niccolò degli Agostini: “(...) Marsia gridava per il gran dolore/ Che sentia mentre Apollo il scorticava/ E il sangue che di lui ne usciva fore/ Per quelli sassi discorrendo andava/ Si che ala fine s’io non piglio errore/ Il detto Marsia in acqua si cangiava/ Et si mutò di forma, e di costume/ Perché dhom chera li divenne un fiume // Il qual per Phrigia ancor va discorendo/ E del detto pastor ritien il nome (...)”.
Chiara Mataloni