Titolo dell’opera: Il supplizio di Marsia
Autore: Baldassarre Peruzzi (1481-1536)
Datazione: 1509-1511
Collocazione: Roma, Villa Farnesina, Sala del Fregio, Parete Ovest
Committenza: Agostino Chigi (1446-1520)
Tipologia: pittura parietale
Tecnica: affresco
Soggetto principale: Apollo ordina allo Scita di scorticare Marsia
Soggetto secondario: un uomo alle spalle di Marsia osserva pensoso la scena; due giovani alle spalle di Apollo
Personaggi: Apollo, Marsia, Scita, figure maschili
Attributi: cetra (Apollo); barba, albero (Marsia); coltello (Scita)
Contesto: paesaggio boschivo
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: A.A.V.V., La Villa Farnesina, in I luoghi di Raffaello a Roma, catalogo della mostra a cura di Cassanelli L., Rossi S., 1983, pp. 25-73; Mercalli M., Pagliai D., Baldassarre Peruzzi. Sala del Fregio, in I luoghi di Raffaello a Roma, catalogo della mostra a cura di Cassanelli L., Rossi S., 1983, pp. 32-38; Cappelletti F., L’uso delle Metamorfosi di Ovidio nella decorazione ad affresco della prima metà del Cinquecento. Il caso della Farnesina, in Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antiche Mythos in Text und Bild, atti del convegno, Bad Homburg 1991, a cura di Walter H., Horn H.J., Berlino, pp. 115-128; Wyss E., The myth of Apollo and Marsyas in the art of the Italian Renaissance: an inquiry into the meaning of images, University of Delaware Press, Newark 1996, pp. 63-64; La Villa Farnesina a Roma, a cura di Frommel C.L., Panini, Modena 2003, pp. 9-42, 70-79, 175-177; Marielli Mariani I., Roma, Villa Farnesina alla Lungara, in Cieri Via C., L’arte delle metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Lithos, Roma 2003, pp. 298-301
Annotazioni redazionali: la piccola sala, che prende il nome dal fregio affrescato che corre come una trabeazione in alto lungo le pareti, è situata al piano terra della villa suburbana che il banchiere senese Agostino Chigi si fece costruire a Roma, ai piedi del Granicolo, dal conterraneo Baldassarre Peruzzi. Per quanto riguarda la datazione del fregio, questa oscilla tra il 1509 e il 1511, contendendosi con la Loggia di Galatea il “ruolo” di prima opera romana dell’artista. Da un punto di vista stilistico, gli affreschi di questa piccola sala risentono ancora fortemente dell’arte senese quattrocentesca: il susseguirsi delle varie scenette in un unico ambiente e la loro forte bidimensionalità ricordano infatti la pittura di cassone e ci indicano con certezza che risalgono al primissimo periodo romano del Peruzzi, quando questi non era ancora entrato in contatto con l’arte di Raffaello. Il fregio si svolge su uno sfondo unico, una foresta, su cui si stagliano i vari personaggi mitici. Gli episodi sono quasi tutti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio, ad eccezione delle fatiche di Ercole, per cui la fonte di riferimento è il De Consolatione Philosophiae di Boezio. Partendo dalla parete settentrionale, tramite cui si accede alla sala, troviamo le Fatiche di Ercole; sullaparete orientale gli Amori di Giove (Europa, Danae e Semele), Diana e Atteone, Giudizio di Mida e il carro di Nettuno; la parete successiva è completamente occupata da divinità marine e fluviali, mentre quella occidentale dai miti di Marsia, Meleagro e Orfeo. Il ciclo è stato variamente letto ed interpretato dalla critica, generalmente concorde nel constatare l’alternanza di episodi di amore e morte, con la preponderanza di scene di contrasto e violenza. Coffin propone una lettura basata su un contrasto tra ragione e passione e dunque tra sfera apollinea e sfera dionisiaca. Marica Mercalli e Daniela Pagliai propongono invece un’interessante e complessa interpretazione, che vede nel ciclo il difficile percorso di emancipazione dell’uomo dal volere degli dei attraverso un costante esercizio della virtus. La loro lettura parte dagli Amori di Giove, e in particolare dalla passività di Europa e Danae, passa attraverso gli episodi tragici di Semele e Atteone, fortemente simbolici per quanto riguarda il destino dell’uomo che tenta di avvicinarsi alla divinità senza l’adeguata preparazione, per arrivare alla triste fine di Marsia, terribilmente punito a causa della sua scelta di contrapposizione ad Apollo, e agli episodi di Meleagro, non ancora in grado di contrastare la superiorità del Fato, e di Orfeo che finisce dilaniato dalle Baccanti; il ciclo si conclude dunque con le fatiche di Ercole, simbolo dell’uomo che riesce da solo a superare tutta una serie di prove e che “con le sue forze conquista la fama e l’immortalità e viene reso dio” (Mercalli, Pagliai, 1983, p. 36). Di contro, Frommel ritiene che la narrazione inizi con le fatiche di Ercole, notando che nelle altre pareti è presente sempre una sorta di “anticipazione” delle tematiche svolte in quella successiva, mentre questa è l’unica a iniziare e terminare entro i “limiti architettonici” imposti. Inoltre ritiene che dietro la figura di Ercole si celi quella di Agostino Chigi, padrone di casa esemplare: alla luce di ciò, data l’importanza simbolica della parete, si spiegherebbe anche il fatto che egli abbia realizzato queste scene per ultime.
Per quanto riguarda l’episodio qui in esame, il supplizio di Marsia, Peruzzi si ispira chiaramente all’iconografia classica diffusa nei sarcofagi romani (Cfr. scheda opera 18, scheda opera 20, scheda opera 21 e scheda opera 22), in cui questa scena era sempre presente. Apollo è in piedi, in mano ha ancora la cetra, lo strumento con cui ha battuto Marsia nella contesa musicale, e con la destra indica il suo avversario battuto, come per dare inizio alla sua esecuzione. Marsia è legato per le mani ad un albero; l’iconografia è simile a quella classica del Marsia appeso, molto diffusa nella statuaria romana (Cfr. scheda opera 15 e scheda opera 16), anche se in questo caso i piedi del sileno toccano abbondantemente il terreno e pertanto il corpo non appare disteso al massimo. Di fronte a lui un uomo inginocchiato con il coltello in mano: è l’esecutore diretto della punizione voluta da Apollo, indicato in alcune fonti classiche come schiavo scita, rappresentato in una posa molto simile a quella classica del cosiddetto “Arrotino” (Cfr. scheda opera 12); la presenza di questa figura ci conferma ulteriormente che nell’ideare questa scena Peruzzi si ispirò all’iconografia di un sarcofago classico. Alle spalle di Marsia troviamo un giovane, ritratto in una posa pensosa come per manifestare il suo forte dolore rispetto all’accaduto: si tratta probabilmente di Olimpo, il giovane discepolo di Marsia, raffigurato frequentemente nell’arte classica mentre supplica Apollo di perdonare il suo maestro. La scena di Marsia è introdotta a sinistra dal cosiddetto Regno di Dioniso, una serie di immagini dionisiache tra cui troviamo lo stesso Bacco seduto, rivolto proprio verso la scena successiva, come se stesse assistendo allo scorticamento di Marsia. Anche la figura del dio del vino è presente spesso nei sarcofagi classici (Cfr. scheda opera 20 e scheda opera 22). Secondo la lettura della Mercalli, Marsia sarebbe una semplice pedina all’interno del contrasto superiore tra le due divinità che si fronteggiano, contrasto dalle radici molto profonde che va ben oltre la contesa musicale. Da segnalare la presenza nel ciclo dell’episodio della gara musicale tra Apollo e Pan e il giudizio di Mida a favore di quest’ultimo che gli costerà delle orecchie d’asino. Il fatto che Peruzzi raffiguri, in un punto diverso della sala, e dunque della lettura complessiva proposta, l’altra famosa contesa musicale in cui si confrontano la lira apollinea e il flauto dionisiaco, dimostra che – distinguendosi da alcune fonti – egli non fonde insieme i due episodi, riprendendone l’individualità che si trova anche in Ovidio e, soprattutto, comprendendone appieno le differenze di significato; laddove, mentre nella contesa con Pan questi non subisce alcuna punizione, e l’unico a dover subire le conseguenze delle proprie azioni è Mida, reo di non aver giudicato correttamente la sfida, incapace di intendere la superiorità della musica apollinea, nella contesa di Marsia sono ben altre le cose in gioco e diverso – perché molto più tragico – è l’esito della vicenda.
Chiara Mataloni