30: Apollo e Marsia

Titolo dell’opera: Apollo e Marsia (o Dafni)

Autore: Pietro di Cristoforo Vannucci, detto Il Perugino (1450-1523)

Datazione: 1490-95 ca.

Collocazione: Parigi, Louvre

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tavola (39 x 29 cm)

Soggetto principale:

Soggetto secondario:

Personaggi: Apollo, Marsia

Attributi: lira, arco, faretra (Apollo); flauto (Marsia)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti: Perugino, Contesa di Apollo e Marsia (?), 1483-1491, disegno a punta di metallo, penna, inchiostro e biacca su carta (32 x 27 cm), Venezia, Gallerie dell’Accademia (Cfr. scheda opera 29)

Derivazioni:

Immagini: http://cartelfr.louvre.fr/pub/fr/image/19434_p0007199.002.jpg

Bibliografia: Camesasca E., Tutta la pittura del Perugino, Rizzoli, Milano 1959; Pignatti T., I grandi disegni italiani nelle collezioni di Venezia, RAS, Roma 1973, n. 3; Levi D'Ancona M., The garden of the Renaissance: botanical symbolism in Italian painting, L. S. Olschki, Firenze 1977, pp. 44-45, 64; Del Bravo C., Etica o poesia, e mecenatismo: Cosimo il Vecchio, Lorenzo, e alcuni dipinti, Gli Uffizi: quattro secoli di una galleria, atti del Convegno Internazionale di studi (Firenze 20-24 settembre 1982), a cura di Barocchi P. e Ragionieri G., Olschki, Firenze 1983, pp. 201-216; Ferino Pagden S. (a cura di), Gallerie dell'Accademia di Venezia: disegni umbri, Electa, Milano 1984, pp. 142-143, n. 54; Scarpellini P., Perugino, Electa, Milano 1984; Wyss E., The myth of Apollo and Marsyas in the art of the Italian renaissance: an inquiry into the meaning of images, Associated university presses, Londra 1996, pp. 57-50; Castellaneta C., Perugino, I Classici dell’Arte, Rizzoli-Skira, Milano 2004; Garibaldi V., Perugino, Giunti, Firenze 2004; Ferrari A., ad vocem “Dafni”, in Dizionario di Mitologia, UTET, Torino 2006, p. 350

Annotazioni redazionali: La vicenda del piccolo dipinto è piuttosto complessa: mai nominato nelle fonti documentarie, nell’Ottocento faceva parte della collezione di Francis Isaac Duroveray, poi dispersa; fu acquistato nel 1850 da Morris Moore come opera del Mantegna. Questi spese molto tempo cercando di dimostrare che si trattasse di un Raffaello, tanto che nel 1883 riuscì a vendere il quadretto al Louvre per duecentomila franchi con questa attribuzione e a patto che venisse esposto nel Salon Carré come “Raphaël de Morris Moore” (Camesasca, 1959, p. 56; Scarpellini, 1984, p. 85). Attribuita solo alla fine dell’Ottocento al Perugino da Giovanni Morelli, la piccola tavola presenta numerosi problemi sia per quanto riguarda la datazione, che per il soggetto in essa raffigurato. Il dipinto infatti viene attribuito dalla critica tanto alla fase giovanile dell’opera del Perugino, tanto a quella più matura, con un’oscillazione che varia dal 1475 fino addirittura al 1505. Da segnalare che le pubblicazioni più recenti propendono per una datazione tra il 1483 e il 1495. Sulla destra troviamo Apollo in una posa statuaria, che ricorda molto quella dell’Hermes Farnese di Londra (Wyss, 1996). Il dio è poggiato ad un bastone, la sua lira è appesa ad un tronco al centro della scena, ai suoi piedi arco e faretra. Di fronte a lui, seduto, un giovane completamente nudo suona un flauto. La scena è ambientata in un paesaggio aperto che si perde in lontananza. In cielo, in corrispondenza di Apollo, un falco sta attaccando una quaglia. Il soggetto del dipinto, tradizionalmente ricordato come Apollo e Marsia, è stato recentemente messo in discussione da Carlo Del Bravo (1983), il quale ha avanzato una nuova interpretazione, generalmente bene accolta dalla critica (Garibaldi, 2004; Castellaneta, 2004), che vede nel dipinto una raffigurazione del giovane pastore Dafni in compagnia di Apollo. La rilettura sarebbe motivata dal fatto che l’ipotetico Marsia non presenti nessun tratto distintivo che ci consenta di identificarlo come un Sileno. L’ipotesi di Del Bravo è indubbiamente molto suggestiva: sulla base di questa nuova interpretazione, egli è in grado di indicare un ipotetico committente per l’opera, Lorenzo il Magnifico (1449-1492), motivando questa sua ipotesi con il fatto che fu lo stesso principe a cantare del pastore Dafni nella sua seconda egloga e che fu lui stesso appellato in questo modo dal poeta di corte Naldo Naldi. La falla di questa lettura è la mancanza di una base documentaria valida: tra le motivazioni apportate a sostegno di questa lettura il gioco di parole tra Dafni e Lorenzo (Dafni, in greco “lauro”, alloro, da cui il nome Lorenzo). Nella mitologia Dafni era un pastore, figlio di Hermes e di una Ninfa, a cui Pan insegnò a suonare il flauto; viene generalmente ricordato come inventore della poesia bucolica (Ferrari, 2006, p. 350). Nelle fonti classiche (Teocrito, Idilli; Virgilio, Egloghe), egli viene sempre associato a Pan in quanto suo discepolo, mai ad Apollo. Questa è indubbiamente una nota a sfavore per l’ipotesi di Del Bravo; la Wyss (1996) aggiunge tra l’altro che questa estraneità tra Dafni e Apollo era nota allo stesso Lorenzo il Magnifico, che nella sua seconda egloga associa Dafne con Apollo, Dafni con Pan. Inoltre, il quadro è pregno di una simbologia legata alla morte che mal si addice all’episodio del pastore Dafni, mentre sarebbe perfetta per un soggetto come quello di Apollo e Marsia. Sono presenti infatti una pianta di belladonna e degli anemoni (Levi D'Ancona, 1977) ai piedi di Marsia e, in cielo, un falco, simbolo apollineo, che sta per attaccare una tortora, ad anticipare la terribile fine cui è destinato il giovane flautista. Confrontando il dipinto con il probabile disegno preparatorio conservato a Venezia (Cfr. scheda opera 29), in cui ritroviamo i due protagonisti in una posa pressoché identica, notiamo che il tronco d’albero sui cui è poggiata la lira apollinea nella tavola del Louvre, è qui un vero e proprio albero morto, che enfatizza ulteriormente la contrapposizione tra i due contendenti e lascia presagire il tragico esito della vicenda. Infine, la Wyss sottolinea come non sia così difficile trovare delle raffigurazioni moderne di Marsia in cui non venga esaltata la sua natura ferina, basate probabilmente sulle fonti del tempo in cui il flautista veniva ricordato di frequente come un semplice villano (Cfr. scheda opera 31, scheda opera 37, scheda opera 44, scheda opera 45, ecc.; per le fonti si rimanda a Giovanni de’ Bonsignori, Marsfm13).

Chiara Mataloni