23: Apollo e Marsia

Titolo dell’opera: storia di Marsia

Autore:

Datazione: III-IV sec. d.C. ca.

Collocazione: Utica, Teboursouk Museum (proveniente da Dougga, l’odierna Thugga)

Committenza:

Tipologia: mosaico policromo

Tecnica:

Soggetto principale:

Soggetto secondario:

Personaggi: Minerva, Marsia, Apollo, schiavi

Attributi: aulòs, cimiero, lago (Minerva); aulòs, pelle animale, albero (Marsia); cetra (Apollo)

Contesto: scena all’aperto

Immagini: http://www.tunisia.strabon.org/amvppc/Dougga/Media/Images/04exploration/collections/marsyas.jpg

Bibliografia: Weis A., The hanging Marsyas : the origin and history, University Microfilm International, Ann Arbor 1981, n. 174; Fantar M., Le mythe de Marsyas sur deux nouvelles mosaiques de Tunisine, in L’Africa romana, atti del 4° Convegno di studio (Sassari, 12-14 dicembre 1986), a cura di Mastino A., Universita degli studi di Sassari, 1987, vol. I, pp. 151-166; Rawson P.B., The myth of Marsyas in the roman visual arts : an iconographic study, B.A.R., Oxford 1987, pp. 171-172; Weis A., ad vocem “Marsyas I”, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Verlag, Zurigo-Monaco, 1992, vol. VI, 1, p. 369

Annotazioni redazionali: il mosaico pavimentale presenta, all’interno di un unico riquadro, tre diversi momenti della vicenda di Marsia, secondo un gusto narrativo non comune. Partendo dall’alto, la prima scena che incontriamo è quella di Minerva che sta suonando l’aulòs, da lei stessa inventato, accanto ad uno stagno che riflette la sua immagine, che – stando a quel che ci raccontano le fonti letterarie – risultava distorta al punto da spingere la dea a gettare via la sua invenzione. Ed effettivamente, il movimento di Minerva che – quasi sdegnata – volta la testa allo strumento, farebbe pensare proprio al momento della presa di coscienza della deformazione del viso causata dall’aulòs. Fantar sottolinea tutta una serie di particolari femminili, come il vestito, meno austero del solito, e i braccialetti, qui attribuiti alla dea quasi a volerne attenuare il carattere di guerriera a favore di una maggiore femminilità (Fantar, 1987), che ben si accosterebbe al rifiuto dell’aulòs per motivi puramente estetici. Contrariamente all’iconografia più diffusa, il lago – o fiume – in cui Atena si riflette non è simboleggiato da una personificazione fluviale (Cfr. scheda opera 25), ma rappresentato in maniera naturalistica. Anne Weis sostiene che la centralità data nel mosaico alla figura della dea sia spiegabile col fatto che Dougga si trovasse vicino al lago Tritone, luogo in cui, secondo alcune fonti tarde (Marsfm03, Marsfm04, Marsfm05), avvenne proprio questo episodio. In alto, nel frammento più piccolo dei quattro in cui si è conservato il mosaico, Marsia spia la dea da dietro una roccia. È completamente nudo, tranne che per la pelle animale legata intorno al collo; la sua carnagione è più scura rispetto a quella delle altre figure, probabilmente per sottolinearne l’origine esotica. La scena si svolge in un contesto ricco di vegetazione e di fauna. Il particolare di Marsia che spia Minerva non è nuovo, era già noto da alcuni sarcofagi, come quello conservato a Copenhagen (Cfr. scheda opera 20) e lo si trova anche sul mosaico di Kelibia, interamente incentrato su questa scena (Cfr. scheda opera 25). Procedendo nella lettura del mosaico, troviamo la scena della contesa musicale; accanto ad Atena, Apollo suona la sua lira; poco più in basso, una figura lacunosa che – grazie ai particolari dell’aulòs, della pelle animale svolazzante a mo’ di mantello e del colorito della pelle – possiamo riconoscere senza alcun dubbio come Marsia. Fantar sottolinea il contrasto tra la calma immobile di Apollo e la frenesia di Marsia, come se il mosaicista avesse voluto rappresentare visivamente gli effetti dei due strumenti musicali, e rileva la stessa posa, solo speculare, nel sarcofago della Garbatella del Palazzo dei Conservatori (Cfr. scheda opera 18). Infine, in basso a destra, troviamo l’ultimo episodio, quello della punizione di Marsia. Il flautista è stato appena appeso a un pino da uno dei due schiavi addetti. L’altro è inginocchiato ai piedi di Marsia e sta affilando il coltello con cui scuoierà la sua vittima. Sulla destra troviamo la pelle di pantera, che nelle altre scene il flautista indossava come mantello, e lo strumento incriminato, l’aulòs. Il gruppo di Marsia appeso e dello schiavo inginocchiato si rifà in modo piuttosto evidente al gruppo statuario pergameno, più volte replicato e copiato in contesti molto diversi tra loro (Cfr. scheda opera 15). Per quanto riguarda invece la presenza dell’altro schiavo, lo ritroviamo in alcuni sarcofagi romani, come in quello conservato a Roma nella galleria Doria (Cfr. scheda opera 22). Da segnalare che M’hamed Fantar (1987), sia nel caso di questo mosaico che in quello di Kelibia (Cfr. scheda opera 25), propone un’ipotesi interessante per spiegare l’accentuazione della femminilità di Minerva, che – in ambito tunisino – potrebbe essere stata influenzata dalla fenicia Ashtart, divinità legata all’amore, alla guerra e alla fecondità. Per quanto riguarda invece la grande diffusione del mito di Marsia nei mosaici dell’Africa del Nord, e in particolare della Tunisia, lo studioso sottolinea l’influenza che deve aver avuto nella zona il racconto della contesa musicale presente nei Florida di Apuleio (Marsfc29).

Chiara Mataloni