
Titolo dell’opera:
Autore:
Datazione: 206-207
Collocazione: Turchia, Hierapolis, Museo Archeologico
Committenza:
Tipologia: rilievi in marmo docimeno
Tecnica: altorilievo
Soggetto principale:
Soggetto secondario:
Personaggi:
Attributi:
Contesto:
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: D’Andria F., Problemi iconografici nel ciclo di Apollo a Hierapolis di Frigia, in Eidolopoiia, Actes Coll. Les problèmes de l’image dans le monde méditerraneé classique, Chateaux de Lormarin 1982, Roma 1985, pp. 51-59; D’Andria F., Ritti, T., Hierapolis. Scavi e ricerche, 2. Le sculture del teatro. I rilievi con i cicli di Apollo e Artemide, Roma 1985, pp. 1-13, 49-70
Annotazioni redazionali: nella vasta area archeologica di Hierapolis, città ellenistico-romana della Frigia, recenti attività di scavo hanno messo in luce l’assetto urbanistico della città e i suoi vari edifici pubblici e monumenti. Tra questi, il grande teatro costruito nel III sec. d.C., sotto l’imperatore Settimio Severo; grazie all’iscrizione che corre sull’architrave e che dedica l’edificio oltre che agli dei e all’imperatore, a Giulia Domna, Caracalla e Geta, possiamo fissare l’inaugurazione del teatro quasi ad annum, tra il 206 e il 207 d.C.. L’edificio conserva ancora la ripida cavea e il primo piano della scena. Il muro del frontescena poggia su un podio, curvato in esedre in corrispondenza delle porte e decorato da un fregio a rilievo con un ciclo figurativo dedicato ad Apollo e Artemide. I due cicli sono disposti simmetricamente, e così nell’esedra centrale si vengono a trovare i rilievi relativi alla nascita e all’infanzia delle due divinità, mentre in quelle laterali troviamo due episodi legati rispettivamente ad Apollo e ad Artemide, il mito di Marsia a destra e la strage dei Niobidi sulla sinistra, entrambi racconti legati all’Asia Minore.
Il mito di Marsia è narrato in quattro lastre. Nella prima troviamo l’episodio di Minerva e Marsia, in cui la dea si fa avanti come per porgere l’aulòs al satiro; sono presenti anche una personificazione fluviale, forse identificabile con il Meandro, e, inspiegabilmente, un Apollo citaredo, la cui presenza avrebbe molto più senso nella scena successiva, quella della contesa, in cui invece è assente.
Nel secondo rilievo la contesa musicale tra Marsia e Apollo: il sileno è raffigurato nudo, coperto solo della nebris, una pelle animale, mentre suona l’aulòs. Di fronte a lui, seduto su una roccia, una Musa ad ascoltarlo, sulla traccia del gruppo scultoreo ipotizzato dal Bartoli nel 1953. Come anticipato, manca l’Apollo citaredo, presente invece fuori contesto nella lastra precedente e ancora in quella successiva.
Nella terza lastra sono raffigurati contemporaneamente due momenti del mito, quello della vittoria di Apollo e della supplica di Olimpo a sinistra, quello di Marsia condotto a morte a destra; sulla sinistra infatti riconosciamo Apollo con la cetra poggiata sul braccio; alle sue spalle una Nike lo sta proclamando vincitore della contesa musicale, coronandolo con la palma della vittoria, e ai piedi del dio un fanciullo inginocchiato in gesto di supplica: si tratta di Olimpo, l’allievo prediletto di Marsia, che cerca di intercedere per il suo maestro (Cfr. scheda opera 13). Sulla destra lo scita con il classico berretto frigio che spintona Marsia, raffigurato di spalle con le braccia legate dietro la schiena.
Nell’ultima lastra è rappresentato il supplizio di Marsia: a sinistra Marsia, appeso per le mani ad un pino, in attesa della terribile punizione decisa per lui da Apollo. Da uno dei rami dell’albero pende la nebris, la pelle animale usata da Marsia per tenere l’aulòs, causa della tremenda sorte del satiro. Sulla destra, inginocchiato con la testa rivolta verso la sua vittima, lo Scita intento ad affilare il suo coltello nella classica posizione dell’Arrotino (Cfr. scheda opera 12). Ancora più a destra un’altra figura maschile, con dei lunghi capelli che scendono sulle spalle, secondo la classica iconografia di Apollo; il dio dunque assiste in disparte alla fine del suo rivale. Questa scena del supplizio si rifà evidentemente al prototipo ellenistico, probabilmente pergameno, tante volte copiato e replicato nell’arte romana (Cfr. scheda opera 15 e scheda opera 16).
Chiara Mataloni