13: Apollo e Marsia

Titolo dell’opera: supplizio di Marsia

Autore:

Datazione: metà I sec. d.C.; 25 d.C. (Rawson)

Collocazione: Roma, Basilica sotterranea di Porta Maggiore, volta della navata sinistra

Committenza:

Tipologia: pannello in stucco

Tecnica: rilievo

Soggetto principale: una Musa (?) implora Apollo; Marsia legato a un albero in attesa del supplizio

Soggetto secondario:

Personaggi: Apollo, Marsia, Scita, Musa (?)

Attributi: lira, corona d’alloro (Apollo); barba, albero (Marsia)

Contesto:

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Cumont F., La basilique souterraine de la Porte Majeure, in "Revue Archéologique", 8, 1918, pp. 52-73; Galli E., Marsia Sileno, in “Atti della R. Accademia dei Lincei. Memorie della classe di scienze morali, storiche e filologiche”, Tip. della R. Accademia dei Lincei, Roma 1920; Strong E., Jolliffe N., The Stuccoes of the Underground Basilica near the Porta Maggiore, in "The Journal of Hellenic Studies", Vol. 44, Part 1, 1924, pp. 65-111; Carcopino J., La basilique pythagoricienne de la Porte Majeure, Parigi 1944; Aurigemma S., La Basilica sotterranea neopitagorica di Porta Maggiore in Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1974 (2° edizione); Coarelli F., Roma, Laterza, Bari 1980; Rawson P.B., The myth of Marsyas in the roman visual arts : an iconographic study, B.A.R., Oxford 1987, pp. 25, 46-47, 85, 167-169; Weis A., ad vocem “Marsyas I”, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Verlag, Zurigo-Monaco, 1992, vol. VI, 1, p. 374; Selmi M., La basilica neopitagorica di Porta Maggiore, in "Lazio ieri e oggi", 42, 2006, n. 495, pp. 60-61

Annotazioni redazionali: la misteriosa basilica, collocata a circa sette metri al di sotto della via Prenestina all’altezza di Piazza di Porta Maggiore, fu scoperta casualmente nell’aprile del 1917 a causa di un problema in corrispondenza della linea ferroviaria. Sfortunatamente, appena scoperta, si fu costretti a chiuderla per motivi di conservazione. L’edificio, costruito già in origine sotto il livello stradale, presenta in ottimo stato di conservazione uno dei più ampi cicli di stucchi dell’età romano-imperiale. Le volte delle tre navate sono divisi in scomparti geometrici piuttosto lineari, al cui interno troviamo alternati semplici motivi ornamentali, scene di vario genere e raffigurazioni mitologiche (tra le altre il disvelamento di Elena, la punizione delle Danaidi, Giasone e il vello d’oro, Ercole e i pomi delle Esperidi, e Ganimede, e quella relativa al mito di Marsia. Nel riquadro, collocato sulla volta della navata sinistra, è raffigurata la scena della punizione di Marsia, visibile sulla destra, legato per le mani a un albero, secondo un’iconografia rara nell’arte classica (Cfr. scheda opera 07), quella del Marsyas religatus, che avrà un momento di fortuna proprio nel I secolo d.C. (Cfr. scheda opera 14), per essere poi soppiantata da quella decisamente più diffusa del Marsyas appesus (Cfr. scheda opera 15 e scheda opera 16). Di fronte a lui una figura in piedi, molto rovinata, in cui è facile riconoscere lo schiavo scita pronto ad eseguire gli ordini di Apollo. All’estremo opposto del riquadro troviamo il dio, seduto su una roccia, la lira con cui ha sconfitto Marsia nella contesa musicale ancora sulle gambe, che volge lo sguardo verso la figura di fronte a lui. Nonostante questa sia molto rovinata, dalla sagoma inginocchiata si capisce che sta implorando Apollo perché conceda la grazia al povero Marsia. Sappiamo che tradizionalmente questo è il ruolo di Olimpo, il discepolo prediletto di Marsia, raffigurato sempre come un ragazzino: in questo caso tuttavia, le proporzioni tra le varie figure sono molto simili, e la traccia lasciata dal panneggio farebbe propendere più per una figura femminile, tanto che Galli (1920) la identificava con la dea Cibele, mentre Anne Weis (1981) con una Musa. Già dal momento della scoperta, l’edificio era stato messo in relazione con la gens Statilia, famiglia aristocratica romana che possedeva una serie di terreni nelle vicinanze. La critica ha sempre ritenuto che la basilica fosse il luogo d’incontro di una setta misterica ispirata alle dottrine pitagoriche, introdotte a Roma proprio in quegli anni; vari gli elementi a favore di questa ipotesi, tra cui la natura ipogea ab origine dell’edificio, caratteristica peculiare dei luoghi destinati ai culti misterici. Carcopino (1944) dimostra questa sua ipotesi sulla base di un passo della Naturalis Historia di Plinio (XXII, 9, 20) in cui si parla di una credenza pitagorica circa un erba magica, esemplificata da un episodio capitato a Saffo, raffigurato in uno degli stucchi principali della basilica, nella parte superiore dell’abside circolare. Tra l’altro, quest’ipotesi coinciderebbe col fatto che, secondo gli archeologi, la basilica fu in funzione per poco tempo, solo alcuni anni: le dottrine pitagoriche, infatti, furono presto proibite dal Senato Romano, perché inquinate da pratiche magiche e ritenute pericolose. Quindi, se gli stucchi si ispirano al pitagorismo, allora la presenza del mito di Marsia è spiegabile, come nel caso di alcuni sarcofagi romani (Cfr. scheda opera 20, e scheda opera 22), alla luce della dottrina per cui la lira a sette corde di Apollo sarebbe ispirata alle orbite planetarie, e di conseguenza la sua melodia riuscirebbe ad evocare l’armonia cosmica delle sfere celesti. Un’ultima osservazione riguarda un’altro stucco della basilica, in cui compare Apollo che suona la lira: il dio è seduto con lo strumento sulle gambe; di fronte a lui una figura femminile, forse una Musa. Con il braccio sinistro, Apollo sembra auto-iconornarsi; un gesto identico si ritrova nel mosaico tunisino proveniente da El Djem, oggi al Museo del Bardo, per il quale è stata avanzata – come nel caso della basilica – una lettura in chiave pitagorica (Cfr. scheda opera 19).

Chiara Mataloni