09: Apollo e Marsia

Titolo dell’opera: Atena e Marsia (Atena e il flauto)

Autore: pittore di Boston (attr.)

Datazione: 370-360 a.C. ca.

Collocazione: Boston, Museum of Fine Arts (proveniente da Canosa)

Committenza:

Tipologia: vaso apulo (cratere a campana; h. 34 cm; diam. 39 cm)

Tecnica: pittura a figure rosse

Soggetto principale: Atena si specchia mentre suona l’aulòs

Soggetto secondario: sono presenti due satiri, di cui forse uno identificalbile con Marsia, una menade e Zeus

Personaggi: Atena, Marsia, Zeus (?), menade, sileno, giovane

Attributi: doppio aulòs (Atena); barba, coda equina (Marsia, sileno); tirso (menade)

Contesto:

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: http://www.theoi.com/Gallery/T61.5.html

Bibliografia: Trendall A.D., Cambitoglou A., The red-figured vases of Apulia, Clarendon press, Oxford 1978, vol. 1, p. 267, n. 48; Weis A., The hanging Marsyas : the origin and history, University Microfilm International, Ann Arbor 1981, n. 36; Demargne P., ad vocem “Athena”, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Verlag, Zurigo-Monaco 1984, vol. II/1, pp. 1014-1015; Rawson P.B., The myth of Marsyas in the roman visual arts: an iconographic study, B.A.R., Oxford 1987, p. 192, A5; Weis A., ad vocem “Marsyas I”, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Verlag, Zurigo-Monaco, 1992, vol. VI, 1, pp. 369; Van Keer E., The myth of Marsyas in acient greek art: musical and mythological iconography, in “Music in Art”, XXIX, 1-2, 2004, pp. 21-37

Annotazioni redazionali: in questo cratere apulo troviamo una delle rare rappresentazioni del momento iniziale del mito di Marsia: al centro della composizione, Atena, seduta ai piedi di un albero, sta suonando l’aulòs, strumento da lei stessa inventato. Di fronte a lei un giovane completamente nudo tiene uno specchio in cui la dea si riflette. Intorno una serie di personaggi tra cui due satiri, uno con i capelli bianchi che sembra inseguire un cane, l’altro bruno che sopraggiunge da destra, una menade con il tirso e una figura maschile con barba e scettro, identificato dalla critica come Zeus (Weis, 1981). Ci troviamo dunque di fronte al preambolo della storia del satiro Marsia, relativo all’invenzione e al momento che precede il rifiuto dell’aulòs da parte di Atena. Per quanto riguarda l’attribuzione della paternità dello strumento musicale alla dea, il primo a parlarne – pur senza mettere l’episodio in connessione con Marsia – è Pindaro nella XII Pitica, che ci racconta che Atena riuscì ad imitare con l’aulòs il lamento delle Gorgoni. Interessante a tal proposito il fatto che sul cratere la dea sia seduta proprio sulla sua egida, al cui centro spicca la testa di Medusa. Per giustificare le altre figure dobbiamo far ricorso ad altre fonti, in particolare a tutto quel filone che da Melanippide di Melo in poi ha introdotto il particolare del rifiuto dell’aulòs da parte della stessa Atena, motivato dalla forte deformazione del volto che comportava il suonarlo. Nel vaso, infatti, la dea si sta specchiando (secondo la tradizione nel lago Tritone, in questo caso nello specchio tenuto dal fanciullo, che – non avendo altro ruolo nella composizione – potrebbe essere interpretato come personificazione del lago stesso) e il dettaglio dello specchio mostra il volto deformato, con delle righe orizzontali ai lati della bocca e le guance gonfie per lo sforzo. Le fonti ci mettono al corrente che, presa coscienza di ciò, la dea si sbarazzò immediatamente dell’aulòs. Il sileno che sopraggiunge da destra viene generalmente identificato con Marsia: la sua posa, infatti, ricorda quella del Marsia mironiano, non tanto per lo sbilanciamento del corpo all’indietro o per la posizione delle gambe, quanto per la posizione delle braccia. La cosa particolare è che mentre nel gruppo mironiano e nelle sue varie riprese (Cfr. scheda opera 01, e scheda opera 17) l’atteggiamento del sileno rispecchia una reazione di stupore rispetto al gesto di rifiuto della dea, qui appare alquanto immotivato. Sulla sinistra tre personaggi che apparentemente non rientrano nell’azione: un papposileno che insegue un cane maltese (Trendall, Cambitoglou, 1978) che potrebbe suggerire una derivazione dell’iconografia del vaso da un dramma satirico; una menade con il tirso che vicino ai due satiri potrebbe sottolineare il carattere dionisiaco della musica auletica; e infine una divinità maschile, probabilmente Giove, che stando all’analisi della Weis ricorrerebbe anche in altre raffigurazioni apule del mito.

Chiara Mataloni