01: Apollo e Marsia

Titolo dell’opera: Atena e Marsia

Autore: pittore di Codrus (attr.)

Datazione: 450-400 a.C.

Collocazione: Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung (proveniente da Vari, Attica)

Committenza:

Tipologia: vaso attico (oinochoe, h. 22 cm)

Tecnica: pittura a figure rosse

Soggetto principale: Atena getta l’aulòs in presenza di Marsia

Soggetto secondario:

Personaggi: Atena, Marsia

Attributi: elmo, lancia (Atena); aulòs, coda equina, barba (Marsia)

Contesto:

Precedenti: Mirone di Eleutére, Atena e Marsia, gruppo statuario perduto, testimoniato da alcune fonti classiche

Derivazioni:

Immagini: http://www.beazley.ox.ac.uk/xdb/ASP/browseCVARecord.asp?id={A643E654-995F-4A80-AA19-7D1710F408B9

Bibliografia: Weis A., The “Marsyas” of Myron: old problems and new evidence, in “American Journal of Archaeology”, 83, 1979, 2, pp. 214-219; Weis A., The hanging Marsyas : the origin and history, University Microfilm International, Ann Arbor 1981, pp. 57-65, n. 295; Rawson P.B., The myth of Marsyas in the roman visual arts: an iconographic study, B.A.R., Oxford 1987, p. 191, A3; Weis A., ad vocem “Marsyas I”, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Verlag, Zurigo-Monaco, 1992, vol. VI, 1, pp. 366-378; Wyss E., The myth of Apollo and Marsyas in the art of the Italian renaissance: an inquiry into the meaning of images, Associated university presses, Londra 1996, p. 19

Annotazioni redazionali: l’iconografia proposta su questo vaso attico ripropone sostanzialmente quella ricostruita del celebre gruppo statuario con Atena e Marsia attribuito a Mirone di Eleutère. Il momento raffigurato è quello iniziale del mito, quando Atena – dopo aver inventato l’aulòs – si rende conto dell’effetto deformante che lo strumento aveva sul suo viso e lo getta via maledicendolo; lo strumento sarà poi raccolto dal sileno Marsia, che si specializzerà nel suonarlo tanto da arrivare a sfidare Apollo in una gara musicale. Il gruppo statuario mironiano è sempre stato collegato a due passi letterari di Plinio (Marsfc18) e Pausania (Marsfc34); tuttavia, parte della critica, ritiene che in realtà i due autori si riferiscano ad opere diverse e che l’esistenza di due gruppi raffiguranti Atena e Marsia, che furono il prototipo per le copie e le raffigurazioni successive, è dimostrabile con il confronto tra questo vaso e un cratere proveniente da Ruvo di Puglia (Cfr. scheda opera 03). Stando all’accurata analisi di Anne Weis (1979), nel caso del vaso berlinese ci troviamo di fronte al ritrovamento del flauto da parte di Marsia, soggetto che ben si adatta alla descrizione fatta da Plinio del gruppo mironiano: il braccio di Atena è ancora in movimento, l’aulòs non ha ancora toccato terra e Marsia sembra farsi indietro, come fosse stupito dall’accaduto. Viceversa, nel cratere di Ruvo il momento raffigurato è successivo, Atena sta cercando di colpire il satiro che scappa, proprio come narra Pausania a proposito di un gruppo statuario – a questo punto anonimo – da lui visto sull’Acropoli di Atene. E in effetti, a ben vedere, le differenze tra i due vasi sono molte: innanzi tutto nel cratere di Ruvo è assente il particolare dell’aulòs gettato dalla dea, come se Marsia l’avesse già raccolto e fatto suo. La postura delle gambe del sileno sembra – a prima vista – molto simile nelle due raffigurazioni: in realtà, osservando la posizione della coda equina, si capisce che in questo caso Marsia è collocato di fronte ad Atena, mentre nel cratere è proteso nella direzione opposta, come se stesse accennando una fuga. Per quanto riguarda invece la figura di Atena, questa risulta più problematica poiché non sussistono grandi differenze tra i due vasi: in entrambi la dea è raffigurata di profilo, vestita con un lungo chitone, l’elmo e la lancia nella sinistra, la mano destra protesa in avanti in direzione di Marsia. Se accettiamo l’ipotesi che le raffigurazioni del sileno su questi due vasi presi in considerazione testimoniano l’esistenza di due diversi gruppi statuari, è difficile pensare che in essi Atena avesse la stessa posa. L’ipotesi proposta dalla Weis è che le due botteghe di pittori avessero fatto riferimento per la figura della dea non ad un precedente illustre, ma un modello comune presente nelle loro botteghe, che ben si adattava ad entrambe le situazioni.

Chiara Mataloni