Marsfr10

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LODOVICO DOLCE, Le Transformationi, In Venetia, Appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari, Canto Terzodecimo, pp. 140-141

(…) Hor udirete i desiderii insani

D’un Satiro,che poi fiume divenn’

Benché prima che fiume diventasse

Con gran suo duol la pelle vi lasciasse.

 

Suonava questo un picciolo istrumento,

chiamato tibia, assai soavemente,

onde a quel vago suon l’orecchio intent

le Ninfe et i Pastore tenean sovente.

Il che poi mise in lui tanto ardimento,

e si privollo de la dritta mente,

Che sfidò Apollo; il qual dal ciel discese,

Et a suonar col temerario prese.

 

La differenza istessa, che saria

(S’alcun gisse tra quelli almi splendori)

Da questa a quella vera alta armonia,

Che fan tra loro i bei celesti cori:

Dal suon dell’humil Marsia avien, che sia

A quel d’Apollo, ch’involava i cuori.

Et a sentenze tal quei, che l’udiro,

Di comune parer tutti s’uniro.

 

Ritrovatasi allora il biondo Apollo

Sotto un Lauro, ove fu quella contesa.

Prese Marsia, et a l’arbore legollo,

Che non seppe, ne pote far difesa:

Indi poscia, ch’alquanto riguardollo,

Ben sei (disse) tu degno d’ogni offesa.

E con immensa e disusata noia

Al miser suonatore la pelle scoia.

 

S’havrian potuto annoverar le vene

Del Satiro meschin, ch’in darno langue.

Son nudi i nervi; e d’ogni parte viene

Stillando fuori in larga copia il sangue.

Egli mercè gli chiede, e non l’ottiene;

Ma divenuto homai freddo et esangue,

Al fin converso in acque dolci e chiare,

Per Frigia corse a dar tributo al mare.

 

Allegoria

Tutte le tre favole superiori dinotano la temerità di coloro, che troppo di se presumono in guisa, che dovendo riconoscer ciò che sanno, e posseggono da gli Di, il contrario facendo, sprezzano la divina potenza, e fanno Idoli di se stessi.