1522
NICCOLÒ degli AGOSTINI, Tutti li libri de Ovidio Metamorphoseos tradutti dal litteral in verso vulgar con le sue allegorie in prosa et istoratio, Venezia 1522, Lib. VI
De Marsia mutato in fiume
Poi disse un giorno Giove convitoe
Seco a mangiar gli dei con molta festa
Pallas per compiacer al padre andò
E una sua ciaramella pigliò questa
Dove a la mensa a sonar comincioe
Con mano, et voce risonante, et presta
Ma perché molto la faccia gonfiava
Ciascun di dei tra lor deleggiava
Le guance gli parean dui fochi ardenti
Et gli occhi suoi, tant’erano infiammati,
onde i Dei, ch’a qual son stavan attenti
per la gran risa segli harian cavai
ad uno ad uno tutti quanti identi
senza avedersi per gli inusitati
giesti di quella, rondella senaccorse
e per vergongna al cor gran duol i corse.
Poi discese dal ciel senza indugiare
E sopra la palude de Trythone
La ciaramella cominciò a suonare
Per veder chi del riso fu ragione
E come shebbe ne lacqua a mirare
Mentre suonava si, fuor di ragione
Gonfiata in volto con grave dolore
Saccorse come saggia del suo errore
Per la qual cosa la sua ciaramella
Non vvolle più suonar la diva pia
E da prudente per privarsi della
Senzaltro pensar più la gettò via
A caso un pastor poi ritrovò quella
Come volse sua sorte iniqua, et ria
Chera da ogniun per nome Marsia detto
Et si fe in suonar lei mastro perfetto.
Tal c’hebbe ardir de disfidar Apollo
A suonar seco il temerario, e stolto
Si che per farlo un di restar satollo
Di la ignoranza sua dovera avolto
Discese giù de ciel e salutollo
Con parlar grato, e con benignio volto
Dicendo eccomi Marsia qui venuto
A suonar teco, et far il mio dovuto
Tu m’hai già tante volte disfidato
Che questo giorno a te mho trasferito
Per veder se sei pur deliberato
Di suonar meco, o se pur sei pentito
Rispose Marsia a lui con parlar grato
Per la mia fe da novo te revito
Et son più che mai fusse a dirti il vero
Di suonar teco acceso nel pensiero
Rispose Apollo sia ne la bonhora
Ma vo che fra noi dui giudice fia
Et chi hara perso senza far dimora
In potestà del vincitor poi sia
Così ristor daccordo, e allora allora
Cominciò Marsia con tanta armonia
La ciaramella sua dolce a suonare
Che fece Apollo assai dubbioso stare.
Com’henne Marsia fin al suo suon posto
Subito Apollo in man pigliò la cethra
E a sonar cominciò da lui discosto
Sì dolce, c’haria aperto un cor di pietra
A la divinità si fece accosto
Da laqual gratia quando vol impetra
onde per ella vincitor ristoe
e assai meglio di Marsia indi sonoe
Il giudice che stato era al presente
Di la contesa lor die la sentenza
Che Apollo havea assai più dolcemente
Che Marsia alhor suonato in sua presenza
Onde per questo ristando vincente
Apollo il prese, e senza resistenza
Ad un tronco di faggio lo legoe
Et con sua propria mano lo scorticoe
Marsia gridava per il gran dolore
Che sentia mentre Apollo il scorticava
E il sangue che di lui ne usciva fore
Per quelli sassi discorrendo andava
Si che ala fine s’io non piglio errore
Il detto Marsia in acqua si cangiava
Et si mutò di forma, e di costume
Perché dhom chera li divenne un fiume
Il qual per Phrigia ancor va discorendo
E del detto pastor ritien il nome
E Apol la pelle sua forte ridendo
Impi di paglia, e non vi dico come
Al sacro tempio con furor horrendo
Senza induggiar portola per le chiome
Dove limpese per exemplo dare
Che alcun co i dei non deggi contrastare
Allegoria de Marsia
A voler dichiarare la allegoria di Marsia bisogna prima dire di Palla che sonava la ciaramella over il flauto, per la quale si pol intendere l’arte sofistica che per se operando vale et non amaestra. Che Pallas se li gonfiasse le galte sonandola vuol significare che quando li sofistici operano cotale scientia si fanno rozzi et gonfiati ce gli dei di lei ridessero vol dire che li savi romeni ridono et fannosi beffe di tal sientia, e dove dice Ovidio chella detta Pallas discese del cielo et si specchiò sonandola nelle acque dove vide la cagione per la qual gli dei haveano riso di lei, questo nuon vuol altro denotare se non che poi chel sofistico torna nella sua mente si specchia nelle sientie formate dal romeni terreni e naturali et conoscendo lo suo herrore lascia la ciaramella cioè la mala intenzione. Ma per Marsia chella trovoe se intende uno che di continuo si reggie et vive in fallacie, e tanto viene a dire Marsia in lingua greca quanto Eronio in latino. Et questi cotali vogliono disputare con Apollo cioè con li savii ma Apollo gli supera et vincie con la cetra cioè con gli veri argomenti risonanti a corde e no a voce e ciò vuol dire perché la sientia vien da li organi del core et questo dinota la cetra, la quale sonando si tiene dal lato manco appoggiata al core che dimostra chella vera sientia viene dalli organi del core. Eto dove dice lo autore che Apollo vinse Marsia e scorticollo vuol dire che lo spogliò delle se fallacie e si li assegnio le vere ragioni et fece manifesto alla giente il poco senno che egli havea. Ma per il cangiarsi in fiume se dinota che si come ogni fiume naturalmente se dilata per la terra et sono perpetui così e palesato lo errore delli sofisti e divulgata la sientia di Apollo, cioè delli savii per liquami tutto il mondo si reggie et governa.