Metà II sec. d.C.
ATENEO, I Deipnosofisti, 616e-f, 617a
Traduzione tratta da: I Deipnosofisti. I Dotti a banchetto, traduzione a cura di Canfora L., Salerno Editrice, Roma 2001, vol. III, pp. 1590-1591 (libri XII-XV)
(...) Per esempio a porposito degli auli uno ricordò che Melanippide, quando nel Marsia ridicolizzò con grande eleganza la musica per aulo, disse di Atena:
Atena
Gettò lo strumento via dalla santa mano
E disse: “Via, vergogna, macchia per il mio aspetto
Vi consegno alla malora”.
E un altro gli replicò:
«Ma Teleste di Selinunte, contraddicendo Melanippide, ha scritto nell’Argo (sta parlando di Atena):
Non posso credere, in cuor mio, che la celeste Atena, la dea dell’ingegno,
abbia trovato questo strumento ingegnoso nei boschi montani
e per paura dell’indecorosa bruttezza l’abbia di nuovo respinto dalle sue mani,
così che divenne gloria per il ferino Marsia, figlio di ninfa, che tra le sue mani lo fa risuonare.
Come poteva brama pungente d’amabile bellezza tormentare lei,
cui Cloto assegnò verginità senza nozze e senza figli?
Proprio per la sua condizione di verginità non avrebbe dovuto aver timore di non essere bella d’aspetto. Prosegue Teleste:
Ma questa storia, ostile alla danza, di poeti
che parlano a vanvera, si diffuse nell’Ellade,
pei mortali odiosa umiliazione di un’arte ingegnosa
Poi fa le lodi dell’auletica e scrive:
A Bromio la diede, fedelissima ancella, il soffio
leggero della veneranda dea, insieme con l’agilità
delle belle dita, veloci come battito d’ali (...).»