I-II sec. d.C.
PLUTARCO, De Cohibenda Ira, 6, 456 b
Traduzione tratta da: Plutarco, Moralia I, “La serenità interiore” e altri testi sulla terapia dell’anima, a cura di Pisani G., Edizioni Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 1989, pp. 302-303
Per quel che mi riguarda, se avessi un servo misurato e garbato, non me la prenderei con lui se nei momenti d’ira mi porgesse uno specchio, come lo si porge a certuni dopo il bagno senza utilità: ciò perché il vedersi in uno stato innaturale e stravolti non è poca cosa per screditare questa passione. Dicono i giocosi poeti che Atena, mentre suonava il flauto, fosse ripresa da un satiro, ma non prestasse attenzione alle sue parole:
Non ti si addice questa posa: getta via il flauto,
impugna le armi e ricomponi le mascelle;
quando però vide il suo volto riflesso in un corso d’acqua s’infastidì e gettò via il flauto: eppure l’arte, a consolazione dei lineamenti alterati, ha la soavità del suono. Marsia, a quanto sembra, contenne la veemenza del soffio con una specie di fusoliera, correggendo e nascondendo la deformazione del volto:
con oro lucente conformò le tempie villose
e la bocca smoderata con cinghie dietro legate.
L’ira, invece, gonfiando e storcendo il viso in modo indecoroso, fa uscire una voce ancora più sgraziata e spiacevole
toccando della mente le corde da non toccare.