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I-II sec. d.C.

PLUTARCO, Vite, Vita di Alcibiade, 2, 5-7

Traduzione tratta da: Plutarco, Vite Parallele, a cura di Magnino D., UTET, Torino 1992, vol. II, pp. 370-371

[5] Quando poi andò a scuola, [Alcibiade] seguiva con attenzione tutti i maestri, ma rifiutava di suonare il flauto dicendo che era un’attività ignobile e illiberale; sosteneva infatti che l’uso del plettro e della lira non comportava atteggiamenti i figure che non si addicessero ad un uomo libero, mentre quando un uomo suona il flauto, persino i familiari  durerebbero a fatica a riconoscerne il volto. [6] Inoltre, chi suona la lira nello stesso momento suona e canta, mentre il flauto ostruisce la bocca occupandola, e toglie voce e parola. “Suonino dunque il flauto – diceva – i ragazzi tebani, che non sanno parlare; noi Ateniesi, come ci dicono i nostri padri, abbiamo Atena come fondatrice e Apollo come iniziatore della razza; di essi la prima buttò via il flauto, l’altro addirittura scorticò il flautista. [7] E così, un poco scherzando, un poco facendo sul serio, non si curò di questa disciplina, e ne distolse anche gli altri. Presto si diffuse tra i ragazzi la voce che Alcibiade giustamente rifuggiva dal suonare il flauto e scherniva chi lo faceva, e in tal modo il suono di questo strumento fu escluso dagli studi  liberali e decadde del tutto.