75: Ratto di Proserpina

Titolo dell'opera: Il ratto di Proserpina

Autore: Luca Giordano (1634-1705)

Datazione: 1682 e 1685

Collocazione: Firenze, Palazzo Medici Riccardi, Galleria

Committenza: Francesco Riccardi

Tipologia: pittura parietale

Tecnica: affresco

Soggetto principale: Plutone rapisce Proserpina

Soggetto secondario:

Personaggi: Plutone, Proserpina, compagne di Proserpina, putto, arpie, creature infernali, altri personaggi

Attributi: bidente, carro, creature infernali (Plutone); cestino, fiori (Proserpina)

Contesto: scena all'aperto

Precedenti:

Derivazioni: Luca Giordano, La barca di Caronte e il ratto di Proserpina, olio su tela, 1685 post quem, Londra, Collezione Mahon (cfr. scheda opera 76)

Immagini: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/e/e8/Luca_Giordano_016.jpg/800px-Luca_Giordano_016.jpg

Bibliografia: Millen R., Luca Giordano a palazzo Medici Riccardi, Firenze 1967; Buttner F. Die Galleria riccardiana in Florenz, Francoforte 1972, po. 232-233, 270; Ferrari O., Scavizzi G., Luca Giordano. L'opera completa, Electa, Napoli 1992, pp. 79-98, 314-315; Giannini C., Fra modello e ricordo: le macchie di Luca per i Riccardi e il gusto tardobarocco per l’inaccompli, in Stanze segrete: gli artisti dei Riccardi. I ricordi di Luca Giordano e oltre, Edizioni Leo Olschki, Firenze 2005, pp. 1-23.

Annotazioni redazionali: La Galleria di Palazzo Medici-Riccardi, oltre a svolgere le funzioni di sala di rappresentanza, ospita anche la collezione di oggetti d'arte posseduta dal marchese Francesco Riccardi, il committente della sua decorazione. Verso la fine del 1682 vi inizia a lavorare Luca Giordano: ne dà testimonianza una lettera di Agostino Peretolani indirizzata proprio al marchese, che in data 3 dicembre riferisce che l'artista “si riconosce in obligo di impiegare ogni suo sapere per rendere cospigua l'opera intrapresa” (Ferrari-Scavizzi, 1992). Poco dopo, però, Luca Giordano viene richiamato a Napoli dalle malattie della moglie e del padre: quest'ultimo morirà nel 1683. Riccardi, però, continua a sollecitare il ritorno dell'artista, fino a che non si arriva anche a ventilare l'ipotesi di sostituirlo con il pittore milanese Federico Bianchi. Ma Giordano torna a Firenze agli inizi di aprile 1685 e si rimette subito al lavoro.

Il concetto fondamentale della decorazione è la glorificazione della dinastia medicea, un omaggio ai reggitori di Firenze che avevano anche posseduto il palazzo fino a che lo vendettero, nel 1659, a Gabbriello Riccardi, lo zio di Francesco. 

Per quanto riguarda il programma iconografico, in una lettera del 21 aprile 1685 Giuliano Bandinelli, segretario di Francesco Riccardi, suggerisce al marchese di sollecitare Alessandro Segni, segretario dell'Accademia della Crusca, “a cominciare a mettere in carta la descrizione della Galleria, perché essendo suo il pensiero non so se riuscisse così facilmente le spiegarlo poi ad un altro, ed è bene che lo faccia ora lui medesimo, mentre ha fresca la memoria dell'invenzione”. Il giorno dopo, Riccardi gli risponde assicurando che avrebbe scritto al Segni “p. non trattenere il Pittore, e anch p. far la descrizione tanto necessaria a voler apprender tutta qlla materia che a prima vista renderà attonito ogni genere” (Ferrari-Scavizzi, 1982). Non si sa quando Segni consegni il suo programma, ma si sa con certezza che Giordano non ne attende la stesura per iniziare i lavori e che gli giunge quando questi sono già in avanzato corso d'opera. L'artista realizza per prima cosa le scene sui due lati minori della Galleria: l'Antro dell'eternità e Minerva protettrice delle arti e delle scienze. Quello che probabilmente esiste è un'idea di massima, predisposta fin dal tempo della prima fase dei lavori: ciò va a confutare l'ipotesi di Millen (1967) che la raffigurazione della glorificazione della casata medicea sarebbe stata inizialmente pensata come a sé stante.

La decorazione della Galleria si dipana, con fluida consequenzialità, dal primo lato minore, dov'è rappresentata la scena dell'Antro dell'Eternità, con la figura simbolica del serpente che si morde la coda,suggerita come punto iniziale e terminale del racconto. Proseguendo in senso antiorario, nell'angolo, la raffigurazione  dell'Allegoria della Giustizia, e subito dopo la scena incentrata sul ratto di Proserpina.

Qui, la fanciulla è raffigurata nel momento in cui il dio degli Inferi la rapisce, con un braccio e il viso rivolti verso il cielo, in richiesta di aiuto. Interessante notare come Proserpina con la sua posa ricordi molto da vicino la Proserpina del dipinto di Valerio Castello conservato nel Museo di Palazzo Reale a Genova (cfr. scheda opera 68). Dietro di loro un putto assiste alla scena reggendo il bidente di Plutone, mentre il carro li aspetta poco più dietro, nascosto da altre figure primitive coperte da pelli. Infatti, il soggetto mitologico è accompagnato da altre figure terrestri di questo genere e da alcune creature degli Inferi che volano in alto e sembrano partecipare al rapimento, che insieme vanno a denotare uno stato primitivo di drammatica situazione esistenziale e di violente passioni (Ferrari-Scavizzi, 1982). Le uniche che rimangono veramente colpite dall'atto di violenza sono le compagne di Proserpina, con cui la giovane stava raccogliendo dei fiori: infatti, in primo piano, è raffigurato anche il suo cestino caduto, con i fiori recisi sparsi sul terreno.

In immediata contiguità con questa scena è quella, già più serena ed elegiaca, dei Campi Elisi, o delle Opere dell'uomo nel corso stagionale dei lavori agricoli. Infatti, nell'immagine in esame, già si intravede una donna che raccoglie dei frutti da un albero.

Sorpassata l'Allegoria della Prudenza, si arriva all'altro lato minore, con la già citata Minerva protettrice delle arti e delle scienze, immagine che vuole indicare le più elevate attività dell'uomo, oltre a quelle rurali. Dopo l'angolo con l'Allegoria della Fortezza, il racconto riprende con il Trionfo di Bacco e il Trionfo di Nettuno e quindi con la morte di Adone, a simboleggiare altre fatali vicende degli amori divini ed umani. La narrazione si conclude, infine, dopo l'Allegoria della Temperanza, con l'Antro dell'eternità.

Tornando al ratto di Proserpina, Luca Giordano, come in tutta la decorazione della Galleria, riesce a sottrarsi alla concettosità letteraria del tema, per trasferirsi sul piano della favola e dell'idillio: ciò che salta agli occhi è una scena di natura incantevole, in cui i personaggi mitici sembrano seguire la cadenza di un componimento musicale. Tutto sommato, però, il programma iconografico che arriverà all'artista sarà complementare, in qualche modo, al progetto già avviato: infatti, anche il Segni indica il mito come “velo” intellettuale di verità più profonde. Inoltre, egli suggerisce la raffigurazione dei quattro elementi e si potrebbe ipoteticamente rintracciare questo concetto nelle raffigurazioni della Galleria sui lati lunghi: nella fattispecie, gli Inferi sarebbero la rappresentazione del fuoco e i lavori agricoli della terra (Ferrari-Scavizzi, 1982).

Delle scene affrescate lungo i lati maggiori della Galleria esistono i cosiddetti “modelli”, tra cui quello del ratto di Proserpina nella collezione Mahon (cfr. scheda opera 76).

 

Roberta Diglio