68: Ratto di Proserpina

Titolo dell’opera: Ratto di Proserpina

Autore: Valerio Castello (1624-1659)

Datazione: 1650 ca.

Collocazione: Genova, Museo di Palazzo Reale, sala delle Udienze

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (147 x 217 cm)

Soggetto principale: Plutone rapisce Proserpina di fronte alle sue compagne

Soggetto secondario:

Personaggi: Plutone, Proserpina, compagne, putti

Attributi: corona, carro, cavalli (Plutone)

Contesto: scena all'aperto

Precedenti:

Derivazioni: Ratto di Proserpina, affresco, XVIII secolo, Varese Ligure, Palazzo Cristiani (cfr. scheda opera 82)

Immagini:

Bibliografia: Mostra della pittura italiana del Sei e Settecento in Palazzo Pitti, catalogo della mostra a cura di L. Tarchiani, Firenze, Roma, p. 59; Ojetti U., Dami L, Tarchiani N., La pittura italiana del Seicento e del Settecento alla Mostra di Palazzo Pitti e Firenze, Milano-Roma 1924, p. 56; Delogu G., Pittori genovesi del '600: Valerio Castello, in "Emporium", 1926, p. 357; Nugent M., Alla mostra della pittura italiana del Sei e Settecento, S. Casciano Val di Pesa, pp. 481, 484; Manzitti C., Valerio Castello, Genova, p. 249; Biavati G., Momenti rubensiani nella pittura genovese, in Rubens e Genova, catalogo della mostra, pp. 266-267, 273; Lamera F., Miti, allegorie e tematiche letterarie per la committenza privata, in Gavazza E., Lamera F., Magnani L, La pittura in Liguria. Il secondo Seicento, Genova 1990, p. 192; Gavazza E., Rotondi Terminiello G., Genova nell'età barocca, Nuova Alfa Editoriale, pp. 140-143; Pavone A. M., Metamorfosi del mito. Pittura barocca tra Napoli Genova e Venezia, Electa, Milano 2003, p. 124.

Annotazioni redazionali: Il dipinto arriva al Museo di Palazzo Reale nel 1822, insieme al resto della collezione dell'avvocato Carlo Andrea Gabaldoni (acquistata dal re di Sardegna Carlo Felice nel 1821). Al momento del suo arrivo, subisce alcune riduzioni: lungo il lato sinistro compaiono, infatti, alcuni frammenti di figure (una mano appoggiata al tronco dell'albero, la parte terminale di un braccio e una mano che regge un canestro di fiori, un ginocchio coperto da una veste). L'operazione di ritaglio non solo, quindi, ha fatto perdere due o più figure, ma ha inclinato innaturalmente la composizione. Il restauro ha recuperato quanta più superficie pittorica possibile, restituendo al meglio l'orientamento visivo (Gavazza-Terminiello, 1992).

Già dall'inventario del 1821, redatto un anno prima dal pittore Luigi Gardella per la stima della collezione Gabaldoni, l'opera viene attribuita a Valerio Castello. Egli, nella sua carriera, affronterà più volte il tema del ratto di Proserpina. Oltre al dipinto in esame, che è riconducibile agli anni Sessanta del Cinquecento, nel Palazzo Balbi-Senarega (cfr. scheda opera 71) una delle lunette – affrescate tra il 1657 e il 1659 – della galleria che da quel soggetto prende il nome è dedicata, appunto, alla scena del rapimento: la variante più importante in una struttura sostanzialmente identica è la rotazione speculare dell'immagine, sovrapponibile però a quella di un altro Ratto di Valerio, conservato nella quadreria di Palazzo Barberini e dipinto tra il 1656 e il 1657 (cfr. scheda opera 70). Inoltre, in una volta di Palazzo Cristiani a Varese Ligure, un affresco d'ignoto artista del XVIII secolo riproduce un Ratto di Proserpina utilizzando come modello il quadro di Valerio Castello qui in esame (cfr. scheda opera 82).

Per quanto riguarda le fonti a cui Valerio Castello può essersi ispirato, è stato osservato che, oltre alle Metamorfosi, da lui sicuramente conosciute grazie alla traduzione di Anguillara (Prosfr12) una fonte diretta fu certamente La Sampogna, poema del Marino che nel quinto idillio a Proserpina (Prosfr16), descrive il rapimento sul “ferrugineo carro”, trainato dai cavalli “di caligine nutriti” e che “torser le briglie, e col timone obliquo [...] precipitaro impetuosi il volo” (Lamera, 1990). Ed è proprio questo che i cavalli sembrano fare nel dipinto.

Sopra di loro, volano due puttini: uno è nell'atto di scoccare una freccia dal suo arco, riferimento alla passione amorosa che ha colpito il dio dell'Ade. Le compagne di Proserpina, invece, assistono, spaventate e impotenti, al suo rapimento.

Questo dipinto, infine, deve essere ricordato in particolare anche per la storia dello stile: qui, Valerio Castello raggiunge “quella sintesi espressiva imperniata sul binomio spazio-moto che ha mutato il corso della pittura genovese in una delle più felici stagioni del barocco” (Biavati, 1977).

 

Roberta Diglio