Titolo dell'opera: Plutone che rapisce Proserpina
Autore: Gian Lorenzo Bernini (1598-1680)
Datazione: 1621-1622
Collocazione: Roma, Galleria Borghese
Committenza: Scipione Borghese (1577-1633)
Tipologia: scultura
Tecnica: marmo bianco (225 cm, base 109 cm)
Soggetto principale: Plutone rapisce Proserpina
Soggetto secondario:
Personaggi: Plutone, Proserpina, Cerbero
Attributi: bidente, Cerbero (Plutone)
Contesto:
Precedenti: Pietro da Barga, Plutone e Proserpina, scultura, 1587 ca., Firenze, Museo Nazionale del Bargello (cfr. scheda opera 47); Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Proserpina, disegno, 1620 ca., Lipsia, Museum der bildenden Künste (cfr. scheda opera 57)
Derivazioni:
Immagini: http://www.galleriaborghese.it/opere/maxi/proserp.jpg
Bibliografia: Faldi I., La Galleria Borghese. Le sculture dal secolo XVI al secolo XIX, Roma 1954, pp. 29-31; D'Onofrio C., Roma vista d Roma, Roma 1967, p. 300; Kauffmann H., Giovanni Lorenzo Bernini. Die figürlichen Kompositionen, Berlino 1970, p. 44, 46; Hibbard H., Bernini, Harmondsworth 1974, p. 48; Lavin I., Drawings by Gian Lorenzo Bernini, Princeton 1981, n. 1; Winner M., Bernini the sculptor and the classical heritage in his early years: Praxiteles', Bernini's and Lanfranco's Pluto and Proserpina, in “Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte”, XXII, 1985, pp. 191-207; Kalveram K., Die Antikensammlungen des Kardinals Scipione Borghese, Worms am Rhein 1995, n. 145; Winner M., Il ratto di Proserpina, in Coliva A.-Schütze S., Bernini scultore. La nascita del Barocco in Casa Borghese, Edizioni De Luca, Catalogo della Mostra (Roma, 1998), pp. 180-203.
Annotazioni redazionali: Il celeberrimo gruppo scultoreo rappresentante Plutone e Proserpina viene commissionato a Bernini da Scipione Borghese insieme a un busto in memoria di Paolo V. Il 23 settembre 1622 il gruppo viene trasportato dalla bottega dello scultore alla villa del cardinale presso Porta Pinciana. Qui rimane per poco tempo, poiché già prima della fine dell'anno viene donato a Ludovico Ludovisi e collocato nella sua villa; nell'inventario della “Vigna dell'illustrissimo Signor Cardinale Ludovisi” viene descritto in maniera molto chiara, non lasciando adito a dubbi: “Una Proserpina di marmo che un Plutone la porta via alto palmi 12 in circa et un can trifauce con piedistallo di marmo con alcuni versi di faccia”. Non si sa il motivo del gesto del Borghese: c'è chi suppone, come Hibbard (1974), che sia stato un gesto di “buona volontà” da parte di Scipione; oppure chi, come D'Onofrio (1967), pensa che l'opera abbia costituito il compenso per un favore ricevuto dai Ludovisi. Ad ogni modo, una motivazione politica. Essendo stato commissionato insieme a un busto in memoria di Paolo V Borghese, è possibile che il gruppo fosse destinato alla Galleria della Villa (Kauffmann, 1970). Ed è qui che infatti si trova, su di un piedistallo opera dello scultore Pietro Fortunati, dopo esservi stato riportato da villa Ludovisi solo nel 1911 (Faldi, 1954).
Si possono solo ipotizzare anche le ragioni che hanno indotto il cardinal Borghese a commissionare a Bernini proprio un gruppo scultoreo con il ratto di Proserpina: considerando che papa Borghese muore il 28 gennaio 1621 e il primo pagamento per la commissione risale al giugno dello stesso anno, forse il tema di Proserpina, che simboleggia l'annuale rinnovarsi della natura, è anche legato alla cristiana speranza di resurrezione del più potente membro della famiglia (Winner, 1998).
Sempre Winner ipotizza come collocazione originariamente prevista per questo gruppo scultoreo il punto della villa dove in seguito sarà posta la statua di Apollo e Dafne. Da un punto di vista tematico, d'altra parte, i due gruppi hanno qualcosa in comune: anche Plutone, infatti, nella tradizione letteraria è stato visto come rappresentazione del Sole.
Prendiamo ad esempio Cartari (Prosfr09):
[…] fu finto che Plutone, intendendo per lui il Sole, la rapì, e portossela in inferno, perche il calore del Sole nodrisce, e conserva sotto terra tutto il tempo dell'inverno il seminato grano.
Sono varie le motivazioni per cui potrebbe essere stata proprio questa la fonte suggerita a Bernini, per quanto indirettamente, dal committente. Cartari, all’epoca molto letto, indica come sua fonte Porfirio, che conosceva solo citato dalla Praeparatio evangelica di Eusebio, essendo andato perduto il trattato greco originario. Qui viene spiegato come Kore personifichi la forza delle sementi e Plutone il Sole che penetra nella terra e visita il mondo invisibile. Cerbero, invece, simboleggia la terra e la sua forza generativa: viene chiamato cane (kìov) per via della fecondazione (kùesin) determinata da Plutone mediante il rapimento di Proserpina. È interessante notare come il cane infernale in marmo del Bernini si distingua dalle rappresentazioni dell’epoca in una particolarità vegetale: le sue zampe posteriori, infatti, sono nascoste dallo sbocciare delle foglie di alloro, che avvolgono anche i suoi organi genitali, ossia proprio la parte del corpo preposta alla fecondazione. Osservando ancora meglio, si può vedere tra le zampe del cane un piccolo ceppo d'albero: le foglie spuntano direttamente dalle radici nascoste nel terreno e alludono al Sole così come raffigurato da Plutone, cioè il Sole invernale. Anche altri autori, d’altro canto, fanno risalire l’etimologia del nome di Proserpina a una tradizione di tipo naturalistica: Agostino, ad esempio, citando Varrone, trova nel nome della giovane il termine proserpere, che simboleggia lo “sgusciare fuori” del seme dalla terra (Prosfc25).
Il momento che viene reso immortale da Bernini nel marmo è proprio quello descritto in un preciso passo delle Metamorfosi di Ovidio: “quando in un lampo Plutone la vide, se ne invaghì e la rapì” (Prosfc12). Allo stesso modo, nella scultura, è come se il vedere la fanciulla, esserne colpito d'amore e procedere al rapimento siano simultanei.
Il gruppo scultoreo era accompagnato da un basamento, su cui era scolpito un distico moraleggiante del cardinale Maffeo Barberini, tratto dai suoi Dodici distichi per una Galleria, illustra, con epigrammi e brevi descrizioni, dodici quadri di una galleria immaginaria:
Quisquis humi pronus flores legis, inspice saevi
me Ditis ad domum rapi (Winner, 1998).
Nelle Metamorfosi, infatti, Proserpina sta raccogliendo fiori; questi versi dovevano servire da ammonimento a chi, come la fanciulla, tiene lo sguardo rivolto verso terra, intento a coglierne gli effimeri fiori.
La visuale principale del gruppo scultoreo deve essere considerata quella frontale, ossia quella dove era apposta l’iscrizione di Maffeo: Plutone ha lasciato cadere a terra il suo scettro bidentato per poter afferrare con ambedue le mani la giovane, che innalza al cielo la mano destra con gesto di lamento, sottolineando quell’“inspice me”. Mentre invita lo spettatore a guardarla, Proserpina però non ha lo sguardo rivolto verso di lui. Le pupille del dio, al contrario, sono avidamente rivolte verso di lei e il Bernini le ha scavate profondamente, dando loro anche degli effetti di luce sotto forma di puntini bianchi di marmo; con un gessetto nero, poi, ha ripassato alcune particolari linee d'ombra. In questa fase della colluttazione, però, Plutone non può vedere la fanciulla, poiché la mano sinistra di lei, premendo contro il suo sopracciglio destro, sposta la pelle sopra l’arcata sopracciliare, impedendogli la visione. Da determinate posizioni dei muscoli e delle membra, inoltre, si può ricostruire una sorta di succedersi dei movimenti: i riccioli della barba di Plutone, proprio per questo gesto di Proserpina che gli sposta la testa verso sinistra, sembrano sventolare verso destra per la forza centrifuga. Ciò significa che la testa di Plutone, un attimo prima, era più vicina alla testa della fanciulla, prima che lei lo respingesse. I riccioli selvaggi dei capelli e della barba di Plutone vengono scolpiti da Bernini come la criniera di un leone. Plutone si è detto simboleggiare il sole nel semestre invernale: è dunque Leo, il leone solare. Il pathos della sua testa si ispira al Centauro tormentato d'amore, forse l'opera marmorea antica più famosa nella collezione di Scipione (Kalveran, 1995).
Visto frontalmente il dio ci appare di corsa, ma se lo guardiamo da sinistra scopriamo che sta giusto iniziando a correre: la posizione delle sue gambe divaricate rivela che sta sollevando il peso della fanciulla. In questo modo Bernini vuole “gareggiare” con il torso del Pasquino a Roma: lo scultore stesso ammetteva come nessuno riuscisse a comprendere la sua ammirazione per questo frammento di statua, purtroppo in pessime condizioni.
Proserpina, invece, sembra gareggiare con la Venere di Prassitele: ostentando la sua nudità contro il suo volere, lotta per la sua verginità. La sua bocca spalancata ci fa comprendere che invoca la madre e le compagne. Piange per la perdita dei fiori, che pure Bernini non rappresenta, ma che sentiamo essere ugualmente protagonisti della scena. C’è tutto, nello sguardo di Proserpina: c’è vergogna, c’è paura nei confronti di Plutone e della sua violenza, c’è terrore per il mondo degli Inferi.
Il gruppo, ad ogni modo, è impostato verso varie visuali, poiché ciascun punto di vista non solo deve rivelare nuove bellezze scultoree, ma deve anche far capire la storia dei protagonisti. Se guardiamo Proserpina dalla diagonale del suo plinto, ad esempio, vediamo come, vista da qui, i suoi occhi guardino lo spettatore, il quale può avere l'impressione che si rivolga a lui soltanto stando in questa posizione.
La critica ha identificato come precedente di questo celebre gruppo scultoreo l’opera di Pietro da Barga (cfr. scheda opera 47) e si è interrogata, allo stesso tempo, sul motivo che potrebbe aver indotto Bernini a prendere spunto proprio da un’opera così modesta, dopo che in un primo momento, per il suo schizzo iniziale (cfr. scheda opera 57), si era ispirato alle ricercate forme artistiche della lotta di Ercole e Anteo del Giambologna. Certamente, Bernini conosceva quel passo in cui Plinio (Naturalis Historia, XXXIV, 69) parlava di un gruppo bronzeo di mano di Prassitele avente a oggetto il “Raptus Proserpinae”. Secondo Winner, il bronzo del Barga vuole essere una ricostruzione di questo bronzo di Prassitele di cui si ha notizia solo dai testi antichi; ed è proprio ciò che spingerà Bernini a guardare, a sua volta, a Pietro da Barga.
Roberta Diglio