34: Ratto di Proserpina

Titolo dell’opera: Ratto di Proserpina

Autore:

Datazione: 1550-1575

Collocazione: Pesaro, Museo civico, proveniente da Urbino

Committenza:

Tipologia: piatto 

Tecnica: maiolica (ø 26 cm)

Soggetto principale: Plutone rapisce Proserpina

Soggetto secondario: le compagne di Proserpina vengono trasformate in sirene

Personaggi: Plutone, Proserpina, compagne

Attributi: bidente, carro, cavalli (Plutone)

Contesto: paesaggio roccioso

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Giardini C., Pesaro. Museo delle ceramiche, Edizioni Calderini, Bologna 1996, p. 58; Casazza O., Gennaioli R. (a cura di), Mythologica et Erotica. Arte e Cultura dall'antichità al XVIII secolo, Sillabe, Livorno 2005, p. 163.

Annotazioni redazionali: Il piatto in esame è una maiolica, policroma e istoriata, proveniente da Urbino e collocabile tra il 1550 e il 1570. Nel recto, dentro a quattro cerchi concentrici di color giallo, è presente l'iscrizione "Jl Ratto d proser/pina", in turchino. La scena si articola in primo piano e descrive il momento culminante del mito, quando Plutone afferra Proserpina sul carro guidato dai suoi cavalli. Qui, a sinistra, si scorge un arco buio entro cui si intravedono delle fiamme: l'ingresso all'Ade. Interessante è anche ciò che è raffigurato in secondo piano: in uno sperone di roccia affacciato su di un golfo, racchiuso dai monti, due fanciulle stanno per buttarsi in mare con atteggiamento disperato, mentre altre due sono già in acqua. L'anonimo artista del piatto raffigura così anche la nascita delle Sirene, unendo due momenti del mito che, solitamente, non vengono raffigurati uniti. Infatti, Ovidio, nei versi successivi al racconto del ratto di Proserpina e delle vicende vissute da sua madre Cerere durante la ricerca della figlia, racconta che “dopo averla cercata invano per tutta la terraferma, / perché anche il mare sapesse quanto eravate angosciate, ecco che / desideraste di potervi reggere sui flutti remigando / con le ali e, trovati gli dei ben disposti, d'un tratto / vi vedeste gli arti farsi biondi di penne” (Metamorfosi, V, 551 sgg. Prosfc12).

 

Roberta Diglio