10: Ratto di Proserpina

Titolo dell'opera: Il ratto di Proserpina

Autore:

Datazione: 175-200 ca. d.C.

Collocazione: Roma, catacomba di San Panfilo, piano inferiore, regione II, galleria C10

Committenza:

Tipologia: scultura

Tecnica: sarcofago in marmo bianco scolpito a bassorilievo (58,5 x 197 x 63 cm)

Soggetto principale: Cerere insegue il carro di Plutone; Proserpina viene sorpresa mentre coglie fiori; Plutone rapisce Proserpina sulla sua quadriga, alla presenza di Diana e Minerva

Soggetto secondario:

Personaggi: Cerere, Caligo o Virgo, Proserpina, Diana, Minerva, Plutone, Tellus, Cerbero, Mercurio, putti

Attributi: carro, torce, serpenti (Cerere); cestino, fiori (Proserpina); faretra (Diana); egida, scudo, elmo (Minerva); carro, cavalli, Cerbero (Plutone); karpos (Tellus); petaso, calzari alati, caduceo (Mercurio)

Contesto:

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Robert C., Die antiken Sarkophag-Reliefs, III, Deutsches Archäologisches Institut, Berlino 1919, p. 452; Koch G.-Sichtermann H., Römische Sarkophage, Beck, Monaco 1982, p. 178 nota 47; Lindner R., Der Raub der Persephone in der antiken Kunst, Konrad Triltsch, Wurzburg 1984, pp. 69-70, n. 80, tav. 22; Granelli A., Pamphili coemeterium, in Lexicon Topographicum Urbis Romae. Suburbium, IV, Quasar, Roma 2006, pp. 157-162; Schmidt T. M., Die Zeit läuft im Kreis. Bemerkungen zur Front und zu den Nebenseiten des restaurierten Persephone-Sarkophages in Aachen, in Sarkophag-Studien 3, Akten des Symposiums des Sarkophag-Corpus 2001 (Marburg, 2-7 luglio 2001), Mainz 2007, pp. 123-134; Zanker P.-Evald B.C., Mit Mythen leben. Die Bilderwelt der römischen Sarkophage, Hirmer, Monaco 2004, p. 369; Ambrogi A., Sarcofago con il ratto di Proserpina nella catacomba di San Panfilo. Sulla diffusione dei temi pagani in contesti cristiani, in Braidotti C.-Dettori E. (a cura di), où pan efèmeron. Scritti in memoria di Roberto Pretagostini, Quasar, Roma 2009, pp. 505-542.

Annotazioni redazionali: Nella catacomba di San Panfilo, a Roma, nella regione II del secondo piano (che, assieme alla XV del primo piano, appartiene alla fase più antica) si conserva in situ una cassa di un sarcofago in marmo bianco a piccoli cristalli lucenti e tendente al giallino, verosimilmente tasio. La cassa non è integra: due lacune sono particolarmente visibili – una grossa in alto a destra e un’altra, minore, al centro.

Nel campo frontale, delimitato superiormente e inferiormente da due sottili listelli, è rappresentato il mito del ratto di Proserpina.

Tre le scene scolpite sul sarcofago: il loro succedersi con ritmo destrorso e serrato, senza nette distinzioni, conferisce unitarietà alla narrazione. All’estremità sinistra vi è l’inseguimento di Cerere; segue Proserpina sorpresa inginocchiata nell’atto di cogliere fiori; infine, la fuga di Plutone con la rapita, alla presenza di Diana e Minerva.

I singoli episodi conservano una loro autonomia narrativa.

La scena a sinistra rappresenta Cerere che, disperata, insegue la figlia: la dea, con la testa di tre quarti e i capelli spettinati e sciolti in segno di lutto, stringe con la mano destra due fiaccole accese, mentre il braccio sinistro è teso e la mano aperta indica davanti a sé. Indossa un peplo stretto sotto il seno da un rotolo di pieghe, con un corto apoptygma. Il mantello si solleva ad arco dietro le spalle, nella velificatio; un’ulteriore lettura di questo mantello rigonfio viene data dalle fonti e in particolar modo dall’Inno a Demetra, quando si descrive come la dea “si gettava sulle spalle un cupo velo”, il velo nero con cui si copre mentre corre sul carro alla ricerca della figlia, in segno di lutto e disperazione. Interessante è sottolineare che è raro vedere la dea raffigurata in una posizione così movimentata e nervosa: generalmente, è più statica, più rigidamente frontale. 

Il carro di Cerere viene tirato da due serpenti alati: sul loro collo è posto il giogo. I due serpenti sono stati recentemente interpretati anche come immagine dei Venti (Schmidt, 2007): sarebbero proprio loro a far gonfiare i mantelli, investendo prepotentemente i personaggi del mito, e a sconvolgere i capelli di Cerere nell’inseguimento. Infine, la ruota del carro è decorata con una protome leonina.

Dietro i serpenti, dal fondo, affiora una figura femminile alata in volo verso il centro: è rivolta verso Cerere e sostiene con le braccia un drappo gonfiato dal vento. Robert (1919) la identifica come Caligo – personificazione del buio attraverso cui Cerere si inoltra alla ricerca della figlia; la Lindner (1984), invece, la interpreta come Virgo-Parthenos, la costellazione collegata alle divinità eleusine, la cui comparsa in settembre corrisponde all’inizio dei misteri eleusini; il suo velo sarebbe il panno che racchiude le sementi. Qui, ha come funzione quella di indicare a Cerere la via per ritrovare la figlia rapita.

Segue, quindi, Proserpina: è vestita di una leggera tunica altocinta e di un mantello che si gonfia e si solleva sopra la testa, mentre il suo lembo superiore è tenuto con entrambe le mani da un puttino in volo. La giovane è inginocchiata, sorpresa nell’atto di raccoglier fiori, come vogliono le fonti: se ne possono scorgere alcuni sparsi per terra. Il braccio destro è piegato con la mano aperta in atto di spavento, mentre il sinistro è portato lungo il fianco. La fanciulla rivolge lo sguardo indietro, verso Cerere, mentre il torso è frontale. Più frequente è anche la figura di Plutone nell’atto di rapirla che, qui, invece non appare.

Accanto a lei, un puttino sistema un kalathos pieno di fiori. L’inserimento – come spesso accade – della scena di Proserpina sorpresa nella sua spensierata quotidianità e il suo ignaro stupore sottolineano ancor di più la drammatica brutalità del ratto e il distacco improvviso e precoce dalla sua vita, da sua madre e dalle sue compagne. La medesima iconografia, peraltro, è tipica e utilizzata anche altrove, sia per rappresentare Proserpina, ma anche per le Oceanidi: il prototipo pittorico è da ritrovare nella tomba di Vergina (cfr. scheda opera 04). Interessante è notare come anche la coppia di Plutone e Proserpina in questo sarcofago ricordi molto – per quanto speculari – la coppia di Ade e Persefone dell’affresco citato.

Infine, vi è la scena della fuga, che occupa quasi i due terzi della fronte del sarcofago: Plutone, nudo e con il mantello che si gonfia ad arco dietro le spalle, è sulla quadriga in corsa verso destra; con il braccio cinge saldamente Proserpina, vestita di una leggera tunica altocinta e di un mantello. La giovane, in preda al terrore, cerca di liberarsi dalla presa: con la bocca spalancata e i capelli sciolti, rovescia indietro il capo, si inarca indietro, solleva in alto il braccio sinistro e tende lateralmente il destro. Il corpo giovanile e flessuoso di Proserpina si sovrappone obliquamente al possente torso muscoloso di Plutone, creando un contrasto tra la rigida impostazione verticale del dio e quella morbidamente ricurva della fanciulla. Il carro (ornato con tre teste di Cerbero in rilievo e con la ruota che presenta anch’essa una protome leonina) viene guidato da un putto, raffigurato di profilo, che tiene le briglie: sottolinea, con la sua presenza, la motivazione amorosa del ratto. Il motivo dell’erote come conduttore del carro di Plutone è rarissimo nell’arte greca ma frequente nelle raffigurazioni di età romana, e avrà particolare fortuna negli anni a venire. Un altro putto doveva accompagnare il carro: il putto che spesso si trova a volare sopra la testa dei protagonisti con una fiaccola accesa nella mano. Qui, purtroppo, è perduto a causa di una lacuna piuttosto evidente nella cassa del sarcofago.

Le teste dei quattro cavalli che guidano la quadriga sono disposte a ventaglio: la terza, però, è abbassata, a sottolineare che il carro si sta già inabissando negli Inferi. Ciò è sottolineato da un serpentello attorcigliato sotto gli zoccoli dei cavalli e dalle tre teste canine di Cerbero, raffigurate anche sul carro. 

Dietro il carro vengono rappresentate Diana e Minerva: affiancate, acefale, la prima di tre quarti, la seconda di profilo, si affrettano verso il carro a grandi passi. La prima testimonianza della presenza delle due dee al rapimento è nell’Inno omerico a Demetra (Prosfc02). Parla Persefone: “e Pallade che suscita battaglie, e Artemide saettatrice giocavamo, e raccoglievamo con le nostre mani fiori stupendi”. Diana è vestita con una corta tunica con ampio sbuffo arricciato in vita e con un manto che si gonfia dietro le spalle, indossa lunghi stivali e la faretra a tracolla; la dea sfiora con l’indice e il medio la spalla di Minerva, come se volesse esortarla a ritirarsi. Minerva, invece, sul cui petto si distingue l’egida caratteristica, indossa un peplo altocinto e, stringendo lo scudo con la mano sinistra, ha quasi raggiunto Proserpina nel vano tentativo di salvarla: le tocca la spalla con la mano destra. In altri esemplari di sarcofagi, invece, Minerva non tocca Proserpina, ma Plutone.

Tra Minerva e il carro viene raffigurato un puttino alato, frammentario, di cui rimangono parte del torso, le gambe divaricate nel passo concitato e la manina sinistra che tocca la coscia destra di Proserpina come a volerla tenere più salda sul carro. In secondo piano, come anche in altri esemplari, si intravede un altarino rettangolare con la fiamma accesa, che costituisce un riferimento topografico alla localizzazione della scena in un santuario, sottolineando la religiosità di Proserpina e l’empietà di Plutone che rapisce la fanciulla in un luogo sacro.

Sotto i cavalli della quadriga di Plutone, invece, è semidistesa la figura di Tellus: con il braccio sinistro piegato, appoggiato a un rialzo roccioso, sostiene la testa, mentre con il destro cinge un fanciullo seduto sul suo grembo, che le tocca un seno destro: è un karpos, simbolo della fertilità della terra. Davanti alla roccia e sotto gli zoccoli dei cavalli, si attorciglia un piccolo serpente. I resti di un’ala sinistra rivelano che un altro erote doveva essere raffigurato in volo al di sopra dei cavalli: l’attacco sulla destra potrebbe appartenere alla fiaccola che egli recava tra le mani, mentre l’altro sopra l’ala dovrebbe riferirsi alla testa perduta. La fiaccola alludeva all’oscurità del viaggio negli Inferi e contemporaneamente ricordava quella accesa durante le cerimonie nuziali, come fonte di luce nella camera degli sposi (Zanker-Ewald, 2004).

All’estremità destra è raffigurato Mercurio, messaggero e accompagnatore nell’Aldilà, nudo, con la clamide allacciata sulla spalla destra e con il caduceo nella mano sinistra. È raffigurato in posizione frontale, mentre avanza concitato verso destra con le gambe fortemente divaricate e con il capo rivolto leggermente indietro. Anziché guidare la quadriga, come appare in genere nelle altre raffigurazioni del mito, solleva il braccio destro e tocca con la mano il petaso alato nel gesto dell’aposkopein: egli, infatti, si scherma gli occhi per scrutare meglio l’orizzonte e scorgere Cerere che sta accorrendo dall’altra parte del fregio. La Lindner (1984) attribuisce la singolarità del gesto ad una particolare trovata dello scultore.

Il Koch (1982) data questo pezzo nella prima metà del III secolo, mentre la Lindner (1984) propende più specificatamente per una datazione in età severiana. Questo in base all’iconografia di Plutone, frontale, che stringe con la destra la giovane, alla direzione dell’azione verso destra e alla “scena della sorpresa”. Di recente, “il vivace plasticismo dei corpi slanciati, ma ben proporzionati, la disposizione delle figure su piani paralleli, senza affollamenti, con pochi intrecci e sovrapposizioni, la costruzione per linee geometriche della composizione, i cui episodi si succedono senza cesure, la ricerca coloristica ed espressiva equilibrata, il moderato uso del trapano” portano Annarena Ambrogi (2009) a collocare il sarcofago tra la tarda età antonina e la primissima età severiana, nell’ultimo venticinquennio del II secolo d.C. 

 

Roberta Diglio