50: Piramo e Tisbe

Titolo dell’opera: Piramo e Tisbe

Autore: Giovanni Antonio Rusconi

Datazione: 1553

Collocazione: Le Trasformationi di M. Dolce di novo ristampate e da lui ricorrette et in diversi luoghi ampliate con la tavola delle favole, In Venetia, appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1553, p. 87

Committenza: Gabriele Giolito de’ Ferrari

Tipologia: incisione

Tecnica: xilografia (6,3 x 9,0 cm)

Soggetto principale: Tisbe si lancia sulla spada di Piramo

Soggetto secondario:

Personaggi: Piramo, Tisbe, leonessa

Attributi: spada, moro (Piramo); velo, moro (Tisbe)     

Contesto: scena all’aperto

Precedenti: anonimo incisore del XVI secolo, Piramo e Tisbe, in Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, Venezia 1522, f. E3r (Cfr. scheda opera 36)

Derivazioni:

Immagine:

Bibliografia: Henkel M. D., Illustrierte Ausgaben von Ovids Metamorphosen im XV., XVI. Und XVII. Jahrhundert, in Vorträge der Bibliothek Warburg, VI, 1926-1927, pp. 58 ss.;Alpers S., The Decoration of Torre de la Parada, IX,Arcade, Brussels 1971, pp. 90-91; Guthmüller, B., Mito, poesia, arte- Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Bulzoni, Roma 1997, pp. 67, 253-258, 263; Glénisson-Delannée F., Illustration, traduction et glose dans les Trasformationi de Ludovico Dolce (1553): un palimpseste des Métamorphoses, in Le livre illustre italien au XVI siecle: texte/image. Actes du colloque organisé par le « Centre de recherche Culture et societe en Italie aux 15., 16. et 17.siecles » de l’Univesite de la Sorbonne Nouvelle (1994), a cura di Plaisance M., Parigi 1999, pp. 119-147; Turner J., Enciclopedia of Italian Renaissance & Mannerist Art, MacMillan, London 2000, vol. 1, pp. 449-450

Annotazioni redazionali: Ludovico Dolce apparteneva ad una nobile ma decaduta famiglia veneziana; studiò a Padova e divenne uno scrittore versatile, che traeva il suo materiale dalle opere degli altri autori, con adattamenti, spesso rasentando il plagio. Egli divenne un “consulente editoriale”, lavorando principalmente per l’editore veneziano Giolito de’ Ferrari, per il quale curò molte opere contemporanee ed anche traduzioni di classici, come Virgilio, Orazio e Cicerone. Nel 1553 vengono pubblicate a Venezia Le Trasformazioni. Lo studioso Bodo Guthmüller (Guthmüller, 1997, pp. 51, 251) afferma che qualche settimana dopo la pubblicazione di quest’opera, il letterato Girolamo Ruscelli stroncò la traduzione, elencando innumerevoli errori di rima, lingua, stile e di fraintendimenti dell’originale latino, commessi dal collega Dolce nel suo rifacimento delle Metamorfosi di Ovidio. E nel salvare soltanto l’operato dell’autore delle immagini, ce ne fornisce il nome, Giovanni Antonio Rusconi. Dopo le critiche di Ruscelli, Dolce ripubblica l’opera, avendo apportato dei cambiamenti, alcuni dei quali riguardavano anche l’apparato iconografico, che originariamente prevedeva 94 xilografie. Furono eliminate infatti le illustrazioni bibliche, le incisioni usate due volte e perfezionato il rapporto tra testo e immagine. Tale apparato iconografico rimase invariato fino al 1561, edizione che contiene 85 xilografie, suddivise in 30 canti. Rusconi prese ispirazione per queste tanto dalle 53 illustrazioni anonime dell’Ovidio Metamorphoseos vulgare di Giovanni Bonsignori del 1497, quanto dalle 72 anonime dell’Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar di Niccolò degli Agostini del 1522. Non soltanto il numero delle scene ma anche la scelta delle storie e il tipo delle illustrazioni differisce dalla tradizione di Bernard Salomon: l’artista è meno interessato alle storie d’amore tranquille. Alcune illustrazioni uniscono diversi momenti narrativi di una favola in una sola composizione figurativa mentre altre si limitano alla rappresentazione di un solo momento. Rusconi con alcuni episodi dell’opera fu fedelissimo alle indicazioni suggerite da Dolce, ma con altre se ne allontanò con personalissime rielaborazioni. Bodo Guthmüller (Guthmüller, 1997, pp. 258-270), in seguito ad una serie di raffronti fra il racconto di Dolce e la corrispondente immagine di Rusconi, è giunto alla conclusione che le incisioni dovettero essere realizzate prima che la traduzione del Dolce venisse completata, basandosi su delle versioni immediatamente precedenti. Infatti sappiamo che la traduzione da parte di Ludovico Dolce risaliva al 1548 ma egli riuscì a completarla solo nel 1553, sotto la pressione dell’editore Gabriele Giolito; è probabile perciò che Giolito avesse commissionato in anticipo le incisioni a Rusconi, in modo da averle pronte per la stampa, perché voleva precedere l’uscita delle edizioni delle Metamorfosi di Anguillara, previste per l’anno successivo, cioè nel 1554. L’illustratore ha dato all’immagine un potere di suggestione, con il riprodurre il movimento attraverso il disegno (Glénisson-Delannée, 1999, pp. 119-147). Tale movimento stimola nel lettore-spettatore la sua immaginazione. Esso è reso attraverso la rappresentazione delle metamorfosi, che sono il tema principale. Ma il movimento è reso anche attraverso un altro procedimento, che consiste nel giustapporre in una medesima immagine parecchi momenti di una stessa storia, naturalmente i più significativi dell’episodio. Le scene potevano essere relativamente vicine dal punto di vista cronologico. Per esempio la figura che illustra gli amori tragici di Piramo e Tisbe: i due giovani, i cui genitori ne rifiutano l’unione, si sono dati appuntamento; Tisbe arriva per prima, incontra una leonessa, fugge e perde il suo velo. Il giovane arriva dopo e trovando il velo macchiato dall’animale, crede che Tisbe sia stata divorata e si uccide. Quando Tisbe ritorna, la scoperta del corpo di Piramo la porta ad uccidersi a sua volta. La figura presenta in primo piano il momento di tensione più intenso: la scoperta di Piramo morto; si vede la giovane donna scapigliata disperarsi, levando le braccia al cielo; si indovina il suo grido d’orrore davanti al corpo del suo amato. Sul fondo, si profila la leonessa, causa dell’errore tragico, che scappa; al suolo, vicino a Piramo, il velo macchiato e in fondo, la città di Tebe, Babilonia. La funzione dell’immagine oltre ad essere narrativa, è anche didattica, rinforza l’insegnamento morale contenuto nel testo. Infine, alla funzione didattica è legata la funzione emblematica. In alcuni casi i personaggi negativi, che sono l’oggetto di un’illustrazione, rappresentano tanto un mito quanto un vizio specifico: la temerarietà (Fetonte, Icaro), l’arroganza (Niobe), la gelosia (Aglauro). Ma questa funzione emblematica dell’immagine verrà maggiormente rafforzata nell’edizione francese del 1557, La Métamorphose d’Ovide figurée. Qui infatti l’immagine prevale sul testo con le sue 179 illustrazioni. Giovanni Antonio Rusconi per la raffigurazione del mito di Piramo e Tisbe non prenderà come testo letterario quello di Dolce, ma quello di Bonsignori e di Niccolò degli Agostini. Egli infatti raffigura il momento in cui Tisbe, dopo aver visto il corpo esanime di Piramo, si lancia a sua volta sulla spada per uccidersi. Sullo sfondo la città di Babilonia, dove vivevano i due ragazzi; sul lato destro un edificio architettonicamente ben strutturato, dalle forme classicheggianti, probabilmente la tomba del re Nino, di cui parla Ovidio. In lontananza si vede una leonessa fuggire. Piramo giace in terra, col viso rivolto verso il basso, la spada gli esce dal dorso ma Dolce lo descrive diversamente: “Percosse, con le rene, il verde smalto,/ E restò verso ‘l ciel la faccia esangue […]/ Presso a lui [Tisbe] la ignuda spada/ Vide”. Questa descrizione è in netto contrasto con l’immagine. Tale discrepanza tra testo e immagine la possiamo spiegare, secondo Bodo Guthmüller, con il fatto che Rusconi per i suoi disegni non ebbe a disposizione il testo di Dolce ma un’altra edizione; non usò l’originale latino perché per lui troppo difficile ma ricorse a una precedente edizione o di Giovanni Bonsignori (stesura dell’opera 1375-1377, prima edizione 1497) o di Niccolò degli Agostini (prima edizione del 1522), che non si basano sull’originale latino, come fa il Dolce, ma direttamente o indirettamente su una parafrasi esplicativa latina in prosa, redatta nel 1322-1323 all’Università di Bologna, e cioè l’Expositio del professore di grammatica e retorica Giovanni del Virgilio. Bonsignori nella sua opera afferma: “E alhora trasse fuora la spada, la qual da lato del pomo […] apogiò in terra, e la ponta se puose al peto, lasandosi cadere in giù sopra la spada; e cusì spianato in terra la spada li passò el gostato” (f. 27 r-v).

Anna Cola