48: Piramo e Tisbe

Titolo dell’opera: Piramo e Tisbe 

Autore: Jacopo Robusti detto il Tintoretto

Datazione: 1541 ca.

Collocazione: Modena, Galleria Estense

Committenza: Conti Pisani di San Paterniano

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tavola (153 x 133 cm)

Soggetto principale: Tisbe si uccide gettandosi sulla spada di Piramo

Soggetto secondario:

Personaggi: Piramo, Tisbe

Attributi: spada, moro (Piramo); velo, moro (Tisbe)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti: anonimo incisore del XVI secolo, Piramo e Tisbe in Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, Venezia 1522, f E 3r (Cfr. scheda opera 36) 

Derivazioni:

Immagine: http://www.galleriaestense.it/sovrane/sofftint.htm

Bibliografia: Thode H., Tintoretto, Bielefeld, Leipzig 1901;Pallucchini R., I dipinti della Galleria Estense di Modena, Cosmopolita, Roma 1945, fig. 43, p. 174; Bernari C., L’opera completa del Tintoretto, apparati critici e filologici di Pierluigi De Vecchi, Rizzoli, Milano 1970, fig. 12B; Pallucchini R., Rossi P., Tintoretto. Le opere sacre e profane, Electa, Milano, vol. I, p. 16, vol II, p. 30, fig. 25; Davidson Reid J. – Rohmann C., The Oxford Guide to Classical Mithology in the Arts 1330-1990, New York – Oxford 1993, p. 963; Cieri Via C., Tintoretto e le Metamorfosi di Ovidio- dispense del corso di lezioni tenuto nell’a.a. 1994-95 in Produzione artistica e tradizioni di immagini nel Cinquecento, Bagatto Libri, 1995, pp. 302-307; Guthmüller B., Mito, Poesia, Arte- Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Bulzoni, Roma 1997, pp. 279- 281, fig. 62; Cieri Via C., L’arte delle metamorfosi, Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, cura redazionale di Nicolette Mandarano, Lithos, Roma 2003, p. 109

Annotazioni redazionali: il dipinto fa partedi una serie di quattordici tavole ottagonali con episodi mitologici, appartenenti alla Galleria Estense di Modena, acquistate nel 1653 a Venezia, dove probabilmente decoravano il soffitto di un locale nel palazzo dei Conti Pisani di San Paterniano e offerti a Francesco I d’Este, che li acquistò nel 1658, a pochi mesi dalla sua morte. Furono collocati nell’abitazione veneziana di Vittore Pisani in occasione delle sue nozze: un’impressionante decorazione nuziale che con i più consueti dipinti epitalamici ha ben poco a che fare. Gli ottagoni sono considerati dalla critica opere giovanili: gli scorci potenti, i movimenti esasperati, l’equilibrio precario, l’intensità dei colori e del chiaroscuro richiamano gli affreschi mantovani di Giulio Romano, ai quali Tintoretto si ispira, rielaborandoli in modo personale e molto vivace. I critici in passato hanno attribuito talvolta queste tavole allo Schiavone, oppure le hanno considerate eseguite in collaborazione dallo Schiavone e da Tintoretto; tuttavia la maggior parte degli studiosi sembra oggi orientata ad attribuirle al solo Tintoretto. Afferma Rodolfo Pallucchini (Pallucchini, 1945, p. 174): “Sono dipinti dove l’evento mitologico è inscenato con poche figure viste dal sottinsù e con un’evidenza narrativa singolare pur nella sua schematica semplicità…Tintoretto risolve tali scomparti soffittali con un punto di vista ribassato, ispirandosi si direbbe agli esempi di Giulio Romano della Sala di Psiche del Palazzo Te a Mantova.” E’ merito di Anna Pallucchini (Pallucchini, pp. 16, 30) aver ipotizzato un viaggio di Tintoretto intorno al 1540 a Mantova, città centrale del manierismo post-raffaellesco, dominata da Giulio Romano, senza le cui ardite invenzioni prospettiche sarebbe difficile spiegare le analoghe soluzioni degli scomparti della Galleria Estense di Modena. Data la destinazione di tali scomparti, Tintoretto si è affidato ad un vivace contrasto chiaroscurale delle masse, colte in moti improvvisi. I corpi assumono una loro compressa violenza costretti in quel poco spazio e proprio da questo rapporto nasce un senso di sforzo, di tensione, di moto colto nel suo svolgimento. L’articolare forme nello spazio, cogliendole dal sottinsù, è un nuovo mezzo linguistico di cui il Tintoretto in tali soffitti dà le prime clamorose prove. La tragica conclusione dell’amore nella morte del mito di Piramo e Tisbe, come afferma Claudia Cieri Via (Cieri Via, 2003, p. 109) che Ovidio deriva da una tradizione ellenistica, per aver derogato alle disposizioni dell’autorità paterna dimostra una particolare insistenza su questa tematica trasgressiva negli ottagoni di Modena. L’iconografia di detta immagine deriva dal testo di Agostini Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, dove viene così descritta la morte di Piramo: “Alfin…[…]/ trasse la spada che portava a lato/ e in terra il pomo, e poi la punta al petto/ mise […]/ e appoggiandossi a quella con furore/ si passò il bianco petto, e il mesto core” (f. E3v). La figura di Tisbe, in particolare, nella rappresentazione si erge con un’intensa espressione di pathos, sul corpo senza vita del suo amato, secondo una iconografia derivata anche questa dalla descrizione dell’episodio di Niccolò degli Agostini: “Quando che Tisbe del spirar s’acorse/ del fido amante, biastemò Cupido/ e sopra il ferro acuto il petto porse […] così poggiando il petto sulla spada/ finì del viver suo le sue brevi hore/ e cade ov’era già sopra la strada/ adosso del suo sfortunato amore” (f. E4r). Il creatore delle illustrazioni al testo di Agostini raffigura, infatti, a destra della sua rappresentazione simultanea della favola di Piramo e Tisbe, sullo sfondo della città di Babilonia, lo stesso episodio scelto da Tintoretto in cui Tisbe viene raffigurata con le braccia aperte mentre si getta sulla spada che esce dal dorso di Piramo. Secondo lo studioso Bodo Guthmüller (Guthmüller, 1997, pp. 280-281), la dipendenza dell’uno dall’altra è evidente. Basta guardare il gesto di disperazione di Tisbe, il fazzoletto svolazzante, la presenza del moro e del sepolcro del re Nino. Il gesto di Tisbe, derivato dall’antico codice della conclamatio, sopravviverà nella cultura di immagini fino a riemergere nella tradizione iconografica del Rinascimento come engramma carico di quel patetismo antico e finalizzato ad esprimere il dolore disperato di fronte alla morte.      

Anna Cola