
Titolo dell’opera: Piramo e Tisbe
Autore: Baldassarre Manara
Datazione: 1535 ca.
Collocazione: Parigi, Petit Palais, collezione Dutuit, inv. 1063
Committenza:
Tipologia: coppa
Tecnica: maiolica policroma istoriata (altezza 3,3 cm; diametro 23 cm)
Soggetto principale: la morte di Piramo e Tisbe
Soggetto secondario: in lontananza una leonessa fugge
Personaggi: Piramo, Tisbe, leonessa
Attributi: spada, moro (Piramo); velo, moro (Tisbe)
Contesto: paesaggio boschivo
Precedenti:
Derivazioni:
Immagine:
Bibliografia: Barbe F., Guidotti Ravanelli C., Forme e diverse pitture della maiolica italiana: la collezione delle maioliche del Petit Palais della Città di Parigi, Marsilio, Venezia 2007, pp. 71-72
Annotazioni redazionali: questa coppa istoriata proviene dalla vendita Marquis d’Azeglio e si trova conservata nella collezione Dutuit del Petit Palais di Parigi. Lo stato di conservazione non è dei migliori, in quanto fu rotta in più pezzi, restaurata anticamente ed ha alcune sbreccature sul bordo. La foggia corrisponde alla coppa a cavetto liscio, con bordo che piega verso l’alto e largo piede a parete svasata. Su di essa, a piena superficie, viene rappresentata l’”istoria” di Piramo e Tisbe, secondo il mito ovidiano: Tisbe scopre il corpo di Piramo riverso al suolo e, pensandolo morto, si getta sulla spada di lui cercando anche lei la morte. La scena, secondo la tradizione letteraria, comprende una fonte, prendendo come riferimento una tipica fontana rinascimentale a bacino e colonna e una leonessa, causa dell’equivoco che condurrà alla tragica fine. Non viene raffigurato invece il sepolcro del re Nino, presso cui i giovani avevano deciso di unirsi. Sul verso della coppa, all’interno del piede è tracciata in corsivo la segnatura del maestro “baldasara/manara” e sulla restante superficie osserviamo un motivo a embricazioni. Il ceramista, Manara, fonda le sue opere su una costante sinteticità didascalica e asciutta, impressa anche dalle fonti grafiche cui si poggiava, che lo portavano verso trascrizioni di nitore formale e conferivano ritmi aggraziati ai protagonisti delle sue fabule sacre e profane. Per quanto riguarda la datazione dell’opera, la studiosa Catherine Join-Dieterle (Dieterle, 1984, cat. 36, p. 127) si astiene dal darne una precisa, osservando che non è possibile distinguere nei lavori di Manara l’evoluzione stilistica, cosicché secondo la studiosa non rimane che collocarla tra gli estremi cronologici dell’unico decennio di attività nota, il 1532-1542. Tuttavia, alcuni aspetti stilistici e calligrafici dell’opera in esame, uniti alla scelta del soggetto ovidiano, che si può dire coinvolga al tal punto il maestro da farglielo rievocare altre volte e nello stesso torno di tempo, ci fanno propendere per una datazione intorno al 1535, sostenuti anche dall’osservazione che essa lega con un gruppo di opere stilisticamente molto omogeneo, alcune delle quali portano tale data.
Anna Cola