
Titolo dell’opera: Piramo e Tisbe
Autore: anonimo incisore del XVI sec.
Datazione: 1522 ca.
Collocazione: Nicolò degli Agostini, Tutti li libri de Ovidio Metamorphoseos tradutti dal litteral in verso vulgar con le sue allegorie in prosa, Stampato in Venetia per Iacomo da Leco a istantia de Nicolò Zoppino e Vincentio di Pollo, 1522, f. E 3r
Committenza:
Tipologia: incisione
Tecnica: xilografia
Soggetto principale: la morte di Piramo e Tisbe
Soggetto secondario: Tisbe fugge alla vista della leonessa
Personaggi: Piramo, Tisbe, leonessa
Attributi: spada, moro (Piramo); velo, moro (Tisbe)
Contesto: paesaggio boschivo
Precedenti:
Derivazioni: Giovanni Antonio Rusconi, Piramo e Tisbe, in Lodovico Dolce, Le Trasformationi, Venezia 1561, p. 87
Immagine:
Bibliografia: Guthmuller B., Mito, poesia e arte, Bulzoni,Roma 1997, pp. 280-281.
Annotazioni redazionali: nel 1522, a Venezia, uscì a opera di Niccolò degli Agostini l’Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, che conobbe una larga diffusione (fu ristampato infatti nel 1533, 1537, 1538 e nel 1547 e 1548). In questa opera l’autore ci racconta del mito di due giovani, Piramo e Tisbe, che erano stati allevati insieme e si sarebbero maritati se non l’avessero impedito i genitori. E poiché si potevano parlare soltanto attraverso la fessura nel muro, alla fine decisero di vedersi presso la tomba del re Nino. Tisbe arrivò per prima ma poiché vide giungere all’improvviso una leonessa, fuggì rifugiandosi “fra sterpi e sassi”. La leonessa iniziò a lacerare i panni ed essendo tutta insanguinata per una cerva uccisa da poco, li sporcò di sangue. Quando arrivò Piramo e li vide, levò un gran pianto, pensando che la sua amata era stata divorata da qualche fiera, considerandosi così responsabile della terribile sciagura. Poi trasse la spada che portava con sé e mise il pomo in terra e la punta al petto e appoggiandosi a quella con furore “si passò il bianco petto, e il mesto core” (f.E3v) (Cfr. Tisfr02).Tisbe, quando fece giorno, tornò alla fonte e trovò Piramo morente, trasse un gran grido e capì che si era ucciso dopo aver visto la sua veste lacera e insanguinata; così si uccise anche lei, porgendo il petto al ferro acuminato della spada e cadde addosso al suo sfortunato amore. La favola termina con un’Allegoria,dove si ribadisce la verità storica, in quanto Piramo e Tisbe si uccisero per amore al tempo di Semiramide, regina di Babilonia. La xilografia che riporta il mito di Piramo e Tisbe è di tipo narrativo, infatti rappresenta due momenti della storia. Sullo sfondo si vede la città di Babilonia, che viene definita dalla scritta in alto; sulla sinistra, Tisbe si rifugia in una grotta per sfuggire alla leonessa, che tiene tra le fauci il suo velo mentre sulla destra vi è raffigurato il sepolcro del re Nino, accanto all’albero del moro. Al centro della scena vi è la fanciulla, con la braccia aperte, rivolte in alto in segno di disperazione; Piramo giace a terra, prono, trafitto dalla sua spada, sulla quale si sta lanciando Tisbe. Questa iconografia di Piramo, che si getta bocconi sulla spada, diversamente da Ovidio, la troviamo sia nel testo di Bonsignori che di Agostini mentre il dettaglio di Tisbe che si getta sulla spada, che esce dal dorso di Piramo, si trova solo in Agostini. Le xilografie del 1522 si ritrovano nelle edizioni del 1533, 1537 e 1547, mentre le edizioni del 1538 e 1548 hanno illustrazioni diverse (Cfr. scheda opera 48). Questa iconografia verrà ripresa da Tintoretto nell’ottagono dei cicli di Modena (Cfr. scheda opera 49). Bodo Guthmüller afferma (Guthmuller, 1997, p. 281) che i dipinti con una iconografia simile sono rari (maiolica di Baldassarre Marrara al Petit Palais di Parigi [ca.1532-1542 inv. Dutuit 1063]).
Anna Cola