22: Piramo e Tisbe

Titolo dell’opera: Piramo e Tisbe

Autore:

Datazione: 1460 ca.

Collocazione: Aia, Koninklijke Bibliotheek, manoscritto dell’Epitre d’Othéa di Christine de Pisan, Ms. 74, G 27, f. 37v

Committenza:

Tipologia: illustrazione 

Tecnica: miniatura (5,5 x 9,0 cm)

Soggetto principale: Tisbe si uccide alla vista di Piramo morto

Soggetto secondario: a destrala leonessa, vicino a un lembo di stoffa insanguinato

Personaggi: Piramo, Tisbe, leonessa

Attributi: spada, moro (Piramo); velo, moro (Tisbe)

Contesto: paesaggio boschivo

Precedenti:

Derivazioni:

Immagine: http://collecties.meermanno.nl/handschriften/showillu?id=1525

http://www.kb.nl/kb/manuscripts/search/index.html

Bibliografia: Carrara E., Mitologia antica in un trattato didattico-allegorico della fine del Medioevo: l’ “Epistre d’Othéa” diChristine de Pizan, in Prospettiva, 66, 1992, pp. 67-81;de Pizan C., l’Epithre d’Othea, edition critique par Gabriella Parussa, Genève 1999, pp. 17, 253, 254, 255.

Annotazioni redazionali: questa miniatura appartiene ad un manoscritto dell’Epitre d’Othéa, di provenienza sconosciuta, che si trova alla Koninklijke Bibliotheek dell’Aia, databile al XV secolo. L’Epistre, composta forse nell’anno 1400 da Christine de Pizan, è costituita da cento storie che, tranne la seconda e l’ultima, sono tutte dedicate all’esposizione di miti dell’antichità classica. Essa rappresenta quindi non solo un ricchissimo repertorio narrativo ma anche il primo completo dossier iconografico della mitologia antica: infatti in due manoscritti eseguiti sotto il diretto controllo della scrittrice, il ms. Harley 4431 della British Library di Londra e il ms. fr. 606 della Bibliothèque Nationale di Parigi, ogni histoire è illustrata da una miniatura. L’analisi di ognuno dei cento capitoli ci rivela che al loro interno si succedono un texte, una glose ed una allegorie. Il texte, che, tranne i primi cinque capitoli è costituito da una quartina di ottonari a rima baciata (mentre glose e allegorie sono in prosa), illustra brevemente un episodio della mitologia antica con l’invito rivolto ad Hector a seguire o meno l’esempio offerto dal fatto mitico, a seconda che questo sia presentato in luce positiva o negativa. La glose,che possiamo definire una moralizzazione di primo livello, impartisce degli insegnamenti utili ad un cavaliere che voglia raggiungere la fama e conseguire la virtù cavalleresca del mondo terreno. Nelle gloses Christine dà un’interpretazione di tipo evemeristico: gli dei e le dee non sono altro che personaggi eminenti di un mondo con cui si mantiene un contatto continuo. Le vicende di questi protagonisti, proprio perché vicende di uomini, sono in grado di offrire degli insegnamenti utili per la vita quotidiana mentre nelle allegorie la moralizzazione di secondo livello ha l’intento di offrire dei precetti tratti dalla letteratura religiosa, per la vita “oltremondana” e l’anima del destinatario. Christine, per la disposizione strutturale dell’opera, si ispira tra l’altro a quella presente in altri manoscritti dell’Ovide moralisé, tra cui il ms.742 della Bibliothèque Municipale di Lione. Ma pur accettando immagini che le giungevano da più tradizioni, l’autrice ha voluto che le raffigurazioni che accompagnano l’opera fossero anch’esse uno strumento di quell’ammaestramento, che ella andava impartendo, ricercando una perfetta coesione tra la parti scritte e quelle illustrative. La miniatura rappresenta, all’interno del percorso texte-glose-allegorie, l’elemento che deve partecipare di tutte queste componenti: l’immagine deve essere il flash sull’intera storia, il compendio della narrazione di cui non è semplicemente l’introduzione, ma la summa descrittiva. All’interno delle varie allegorie la storia con Piramo e Tisbe, la histoire 38, fa parte di un gruppo che tratta dei dieci comandamenti (histoires XXXV-XLIV) (Carrara, 1992, pp. 67-81). La scena si svolge vicino a una fontana, a sinistra, in terra giace il corpo immobile di Piramo, il volto rivolto verso il cielo, vestito con gli abiti dei cortigiani dell’epoca ma è Tisbe sulla sinistra che impugna la spada per togliersi la vita, anche lei vestita con gli abiti cortesi. Vicino c’è una leonessa, che ha tra le zampe un lembo di stoffa sporca di sangue. Christine de Pisan considera questa favola un’infausta avventura dalla quale il buon cavaliere deve trarre grande fede: non ci si deve far ingannare dagli indizi senza avere prima la certezza della loro corrispondenza alla realtà e, in secondo luogo, viene affermato il dovere cristiano e morale di rispettare il quarto comandamento, onorando il padre e la madre; peccato che commisero i due giovani innamorati.

Anna Cola