09: Piramo e Tisbe

Titolo dell’opera: Piramo e Tisbe 

Autore:

Datazione: fine III - inizio IV secolo d. C.

Collocazione: Nea Paphos, Casa di Dioniso (Cipro)

Committenza:

Tipologia: mosaico

Tecnica:

Soggetto principale: Piramo e Tisbe come divinità fluviali

Soggetto secondario: in lontananza una leonessa porta tra le fauci un lembo di stoffa

Personaggi: Piramo, Tisbe, leonessa 

Attributi: cornucopia, mantello (Piramo); velo, braccia aperte (Tisbe)

Contesto:

Precedenti:

Derivazioni:

Immagine:

Bibliografia: Baldassarre I., Piramo  e Thisbe: dal mito all’immagine in L’art décoratiƒ à Rome (1981), pp. 346-347, fig. 11; Balty J., La Mosaïque au Proche-Orient in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II 12, 2, 1981, p. 419 ; Knox P. E., Pyramus and Thisbe in Cyprus, in Harvard Studies in Classical Philology, vol. 92, Harvard University Press, Cambridge 1989, pp. 315-328, fig. 1; Bellefonds de L. in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, (LIMC) Pyramos et Thisbe, Vol. VII/1, Artemis, Zurigo-Monaco 1994, Vol. VII/1, pp. 606-607, fig. 24; Dunbabin K. M. D., Mosaics of the Greek and Roman World, University Press, Cambridge 1999, pp. 226-227.

Annotazioni redazionali: nel 1962 gli scavi di una villa di vaste proporzioni a Nea Paphos (Cipro) hanno portato alla luce mosaici pavimentali di alta qualità. Sul pavimento della più grande stanza della villa è stato trovato il “Trionfo di Dioniso”. Per questa raffigurazione la villa è conosciuta come “Casa di Dioniso”. Il pavimento del portico, sul lato ovest del peristilio della villa, contiene quattro pannelli che raffigurano scene meno usuali tratte dalla mitologia, rivelando forse qualcosa dei gusti dei proprietari: Piramo e Tisbe; Dioniso, Acmone, Icaro e i primi bevitori di vino; Poseidone e Amimone; Dafne e Apollo. Il pannello con la scena di Piramo e Tisbe mostra, a destra, Piramo disteso verso sinistra nella positura di un dio fluviale, coronato di foglie, la base del corpo drappeggiata, un corno d’abbondanza nella destra, una canna palustre nella cavità del braccio sinistro; egli è appoggiato ad un’anfora rovesciata le cui acque corrono verso Tisbe. Quest’ultima viene raffigurata in piedi, vestita di un peplo fermato sulla spalla sinistra, il braccio destro alzato si dirige verso sinistra, dove sono raffigurati una roccia e un arbusto. Al centro, in lontananza, una pantera tiene in bocca un lembo di stoffa.  Non ci sono dubbi sull’identità dei due personaggi, in quanto definiti dalle iscrizioni. La studiosa Ida Baldassarre (Baldassarre, 1981, pp. 346-347) afferma che anche qui il punto di partenza è il mito fluviale, raccontato più distesamente che nei mosaici di Antiochia (Cfr. scheda opera 07 e scheda opera 08) ma il mosaicista vi ha inserito, senza capirlo, un elemento dedotto dalla iconografia della favola ovidiana: la leonessa, che qui assume le sembianze di un leopardo. La figura resta senza alcuna relazione, sia compositiva che concettuale, col resto della figurazione. Escludendo l’interpolazione del leopardo il mosaico sembra conservarci, nella forma più completa, l’iconografia del mito fluviale, che è generalmente raccontato come un inseguimento da parte dei fiumi, i quali, anche attraverso percorsi sotterranei, raggiungono le ninfe fuggitive. Infatti, secondo la testimonianza di Nonno, il fiume Alfeo si congiunge con Aretusa nell’isoletta di Ortygia, davanti a Siracusa; e lo stesso destino appartiene anche a Piramo. La fonte Tisbe non è stata localizzata ma, per analogie geografiche tra il Piramo e l’Alfeo e anche sulla base di una testimonianza di Strabone, ne è stata ipotizzata l’ubicazione proprio a Cipro. La presenza di questa raffigurazione a Nea Paphos sembra confermare l’ipotesi, fornendole una successiva documentazione. Secondo la studiosa Baldassarre (Baldassarre, 1981, pp. 346-347) l’immissione in questo mosaico di un elemento estraneo, derivante da un altro contesto mitico, ci conferma la relativa indipendenza del discorso iconico da quello letterario. Secondo lo studioso Linant de Bellefonds (Bellefonds, 1994, p. 607), la presenza della pantera trascinante un lembo di tessuto, difficilmente spiegabile in questa regione dall’influenza di Ovidio, lascia piuttosto supporre che questa versione fluviale della leggenda porta ugualmente l’episodio della bestia. Non abbiamo nessuna fonte letteraria precedente alle Metamorfosi di Ovidio e quelle più tarde fanno riferimento ad esso. Un altro studioso, Peter E. Knox (Knox, 1989, pp. 325-326), afferma che è molto improbabile che una qualche conoscenza delle Metamorfosi possa essere attribuita o all’artigiano che eseguì questo pannello o al patrono che lo commissionò. La letteratura latina era poco conosciuta nell’Est e tra i Greci, pochi del ceto colto, avevano più di una infarinatura del linguaggio per motivi amministrativi o giuridici. In particolare non c’è nessuna evidenza di familiarità con le Metamorfosi di Ovidio prima del XIII secolo. Quindi una rappresentazione pittorica di una scena dal poema di Ovidio, scoperta nell’Est, rappresenterebbe un fatto importante. Ma ci sono delle significative varianti nell’iconografia del mosaico di Paphos, che precludono la diretta conoscenza del testo ovidiano. In primo luogo l’ambientazione del mosaico non ha due importanti elementi descrittivi presenti in questo autore: la tomba del re Nino e la fonte ma più significativa è l’omissione del terzo elemento: l’albero del moro, all’ombra del quale i due giovani dovevano incontrarsi. E’ stato ipotizzato che l’albero del moro è rappresentato sulla roccia, dietro Tisbe, ma il confronto con altri mosaici della Casa di Dioniso rivela che questo era un paesaggio standard utilizzato dal manuale del mosaicista. L’assenza di questo elemento è una indicazione certa che il mosaicista stava lavorando senza la conoscenza del racconto di Ovidio: il ruolo dell’albero del moro come luogo d’incontro e la sua trasformazione da bianco a rosso, macchiato dal sangue dei giovani amanti, costituisce la caratteristica distintiva del racconto ovidiano. Inoltre il racconto di Ovidio non può essere in nessun modo riconciliato con la rappresentazione di Piramo quale divinità fluviale. Questo aspetto del mosaico rappresenta chiaramente una versione diversa del mito, che si conclude con le metamorfosi di Piramo e Tisbe rispettivamente in un fiume e in una fonte, attestata da varie fonti greche. E’ attestato che una variante locale della storia di Piramo e Tisbe circolò nella vicinanza della Cilicia; tale mosaico potrebbe quindi essere una testimonianza indipendente alla tradizione fluviale. Un ostacolo a questa interpretazione è la possibilità, sostenuta di I. Baldassarre (Baldassarre, 1981, p. 346), che mentre il mosaicista poteva non avere familiarità con il testo di Ovidio, egli poteva però aver conosciuto lo scritto di Ovidio attraverso l’arte e semplicemente fuse elementi della storia da una tradizione iconografica derivante da Ovidio. Questa ipotesi di Baldassarre è adottata anche da J. Balty (Balty, 1981, p. 419).

Anna Cola