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1356-1374 ca.

FRANCESCO PETRARCA, Trionfo dell’Amore, cap. III, vv. 1-24

Testo tratto da: F. Neri, G. Martelletti, E. Bianchi, N. Sapegno, R. Ricciardi (a cura di), Francesco Petrarca, Rime, trionfi e poesie latine, Milano-Napoli 1951, vol. VI, cap. III, p. 495

Era sì pieno il cor di meraviglie

Ch’i stava come l’uom che non po dire,

e tace, e guarda pur ch’altri ‘l consiglie,

quando l’amico mio: “Che fai? Che mire?

Che pensi?” disse “non sai tu ben ch’io

Son della turba? E’ mi convien seguire”-.

“Frate,” risposi “e tu sai l’esser mio

e l’amor del saper che m’à sì acceso

che l’opra è ritardata dal desio”.

Ed egli: “I t’avea già, tacendo, inteso:

tu vuoi udir chi son quest’altri ancora.

I’ tel dirò, se ‘l dir non è conteso.

Vedi quel grande il quale ogni uomo onora:

egli è Pompeo, ed ha Cornelia seco,

che del vil Tolomeo si lagna e plora.

L’altro più di lontan, quell’è ‘l gran Greco,

né vede Egisto, e l’empia Clitemestra:

or puoi veder Amor s’egli è ben cieco!

Altra fede, altro amor: vedi Ipermetra,

vedi Piramo e Tisbe insieme a l’ombra,

Leandro in mare ed Ero alla finestra.

Quel sì pensoso è Ulisse, affabile ombra,

che la casta mogliera aspetta e prega,

ma Circe, amando, gliel ritiene e ‘ngombra.