29: Perseo e Medusa

Titolo dell’opera: Medusa

Autore: Gian Lorenzo Bernini

Datazione: quarto-quinto decennio del 1600

Collocazione: Roma, Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori, Sala delle Oche

Committenza:

Tipologia: scultura

Tecnica: scultura in marmo di Carrara (50 x 41 x 38 cm ca.)

Soggetto principale: busto di Medusa

Soggetto secondario:

Personaggi: Medusa

Attributi: chioma di serpenti (Medusa)

Contesto:

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Fagiolo Dell’Arco M. & M., “Bernini: una introduzione al gran teatro del barocco”, Bulzoni, Roma, 1967;Wittkower R., “Bernini: lo scultore del barocco romano” , Electa, Milano, 1990, pag. 260; Lavin I., Bernini's bust of the Medusa : an awful pun” in “Docere delectare movere: Affetti, devozione e retorica nel linguaggio artistico del primo barocco romano”, Roma,  De Luca, 1998

Annotazioni redazionali: La Medusa del Bernini è un’opera abbastanza problematica sia dal punto di vista documentario che da quello formale. L’opera non è citata né dal Baldinucci né dal figlio dell’artista, Domenico Bernini. La prima notizia che la riguarda risale al 1731, quando il marchese Francesco Bichi ne fece dono al Museo del Palazzo dei Conservatori. L’attribuzione al Bernini si basa su alcune caratteristiche stilistiche e sull’iscrizione latina, “celeberrimus statuarius”, apposta sulla base settecentesca del busto. Per quanto riguarda le caratteristiche formali dell’opera, Wittkower ne individua alcune non confacenti allo stile berniniano. Mentre il brillante trattamento della superficie, la magia tecnica dei corpi dei serpenti liberi nello spazio, il gioco dei passaggi dai capelli ai serpenti sono tutti a favore dell’attribuzione tradizionale, la resa ornamentale delle forme naturali ed altri dettagli (parte dei capelli, il drappo) non si conformano alla maniera di Bernini. Wittkower ipotizza, sulla base di alcune informazioni tramandateci dal figlio dell’artista, che quest’opera possa essere stata scolpita intorno al 1636, durante un periodo di malattia. Lavin invece crede che l’opera possa rientrare tra quelle compiute “per suo studio e gusto” nella metà degli anni ‘40 e che rimase presso la famiglia dell’artista dopo la sua morte. Quindi l’opera potrebbe anche essere collocata cronologicamente tra il 1644-48, anni in cui il nuovo papa Innocenzo X Pamphilj allontanò Bernini dalle committenze papali a causa dei suoi stretti legami con il precedente pontefice Urbano VIII Barberini. Il mito classico ovidiano viene rovesciato e la Medusa è catturata nel momento transitorio in cui, osservando il proprio riflesso in un ipotetico specchio, viene pietrificata dal suo stesso sguardo. Il suo volto esprime a pieno l’angoscia e il dolore di fronte all’imminente morte. L’opera può essere anche intesa come una metafora barocca sul potere della scultura e sul genio dello scultore. Come per un contrappasso dantesco, colei che con la semplice vista pietrificava gli uomini, viene letteralmente “pietrificata” da un uomo, Bernini.

Dario Iacolina