25: Perseo e Medusa

Titolo dell’opera: Medusa

Autore: Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio

Datazione: 1598 ca.

Collocazione: Firenze, Galleria degli Uffizi

Committenza: Francesco Maria del Monte

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela applicata a legno di pioppo (diametro 55,5 cm)

Soggetto principale: testa decapitata di Medusa

Soggetto secondario:

Personaggi: testa di Medusa

Attributi: chioma di serpenti (Medusa)

Contesto:

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Longhi R., Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi, Milano, Palazzo Reale, aprile-giugno 1951, Sansoni, Firenze 1951; Friedlaender W., Caravaggio studies, Schocken books, New York 1969, pp. 87-89, 157; Longhi R., Caravaggio, Editori Riuniti, Roma 1977; Cinotti M., Caravaggio: la vita e le opere, Bolis, Bergamo 1991, pp. 48-50

Annotazioni redazionali: La testa di Medusa è colta pochi istanti dopo essere stata recisa di netto dalla spada di Perseo. L’opera non nasce come vero e proprio dipinto, ma come scudo da parata, infatti il volto stravolto della Gorgone si trova al centro della superficie convessa di una rotella lignea. L’opera fu realizzata intorno al 1598 per il cardinal Del Monte, che ne fece dono successivamente al Granduca di Toscana Ferdinando I o a Cosimo II, entrambi collezionisti d’armi. Durante il Seicento lo scudo fu montato su un’armatura orientale indossata da un manichino a cavallo. Con la dispersione dell’Armeria, nel 1775 circa, l’opera passò agli Uffizi. L’originale dipinto suscitò l’ammirazione e lo stupore dei contemporanei, come dimostrano i componimenti in versi di alcuni poeti, tra cui Giambattista Marino autore de “La testa di Medusa in una rotella di Michelangelo da Caravaggio”, scritto una decina di anni dopo la realizzazione del dipinto. L’immagine classica delle Gorgone era molto comune nelle armature e negli scudi del XVI e XVII secolo, soprattutto per il suo significato apotropaico e come simbolo della vittoria della ragione sui sensi. I dati stilistici dell’opera permettono di accostarla agli ultimi anni del ‘500, quando l’artista esegue opere affini per la tematica dell’urlo (“Giuditta e Oloferne”, 1599, Palazzo Barberini). L’opera mostra uno straordinario realismo e una grande forza espressiva: eccellente è lo studio dell’espressione fisiognomica, con i muscoli contratti nell’ultimo spasmo di vita, gli occhi atterriti e rigonfi nonché la bocca spalancata in un grido. Altro grande pezzo di bravura sono i serpenti della testa del mostro rappresentati in modo molto realistico e probabilmente studiati dal vero. Caravaggio, con questo capolavoro, crea un’immagine senza tempo catturando la smorfia di orrore sul volto riflesso della Medusa.

Dario Iacolina