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GIOVANNI ANDREA dell'ANGUILLARA, Le Metamorfosi d’Ovidio ridotte in ottava rima, In Venetia, Libro IV
E così polidette suo congiunto
Condusse seco il bel figlioulo di giovedì
Ma quando il vide à più begli anni giunto,
E di lui scorse le stupende prove,
Ech’al dolce aere ha tal valore aggiunto,
Ch’ogn’un tira ad amarlo, ogn’un commove,
Fu da qualche sospetto avvelenato,
Che non gli solevasse un dì lo stato.
Dopo lungo pensare fece un convitto,
Per torgli (s’ei havea) questo disegno.
E fatto fare un generale invitto,
Ad ogni huom di quell’isola più degno,
Disse: poi che fe ogn’un lieto, et ardito
Il liquor del vicin Cretese regna,
S’havessi (io farei ben del tutto lieto)
Un don, ch’io vo tener nel mio secreto.
A’ pena fu questa parola udita,
ch’ogn’un da vero, e nobil cavaliero,
Mostrò la mente haver pronta, et ardita,
Pur, ch’egli discoprisse il suo pensiero,
D’aprirsi con l’havere, e con la vita,
Per far, ch’havesse il suo contento intero.
Ma Perseo pur d’ogni altro ardito, e forte,
Promise con più cor d’un altro forte.
Io giuro (disse Perseo) per quel Dio
Che mi vestì questa terrena spoglia,
Che per farti contento del desio,
ch’ascoso stà ne la tua interna voglia,
(Pur che non porti macchia à l’honor mio)
Io non mancherò mai, ne farò scusa,
Se be volessi il capo di Medusa.
Celebre allhora di Medusa il nome
Era, ch’ogn’un facea diventar sasso
Ascolta il cauto Polidette, e come
Fu giunto il dir di Perseo, à questo passo,
Disse: io desio le serpentine chiome,
E quel mostro di vita ignudo, e casso,
E puoi tu d’ogn’un tentar tal prove,
Ch’aiuto havrai dal tuo parente Giove.
Se non l’havesse il forte giuramento
(Che fece troppo subito) legato,
Perseo de la promessa mal contento,
Non sò. S’havesse tal peso accettato.
Pur lasciato da parte ogni spavento,
Disse:ho promesso, e tentar vo il mio fatto.
Verso il mar d’Ethiopia ardito passo,
Dove il mostro infelice og’uno insossa.
Ma Mercurio, e Minerva per salvare
Perseo dal mostro dispietato, e fello
Perche nol fesse in sasso trasformato
Non mancaro d’aiuto al lor fratello:
E dove, e come, e quando ci abbia andare,
E come acquesti il viper in capello,
L’informar d’ogni parte, di maniera
Ch’ei troncò il capo à la spietate fera.
Del sangue, che dal tronco sparse
Medusa in un momento fu formato,
E innanzi à Perseo bel guarnito apparse
Fuor d’ogni fede un gran cavallo alato.
Perseo montovvi, e subito disparse
Che veder volle l mondo in ogni lato
Si drizza contra il sole, e non s’arresta,
Tenendo in man la mostruosa testa
Hor mentre ver Levante il camin prende,
E drizza per la Libia il primo volo,
E ds Favonio ad Euro li distende
E in mezzo sta fra l’uno e l’altro Polo:
Goccia la testa infame, e’l sangue rende
Gravido l’African non fertile suolo.
Partorì poi la Libia di quel sangue
Ogni più crudo, e più terribile angue
Ne mai quel clima poi si vide il mondo
Di quei crudi, e pestiferi animali,
Che quanto è più infelice, è più fecondo
Il seme di noi miseri mortali.
Perseo invaghito di vedere il mondo,
Per tutto al suo destrier fa batter l’ali,
Come nube agitata hor quinci, hor quindi,
Da venti sciti, Australi, Hiberi, et Indi
Come hebbe inteso di quel regno in parte
Del governo, e del clima i propri doni,
Disse il più gran Signor, c’havesse parte
In quelle troppe calde regioni.
Dimmi ti prego Perseo con qual’arte,
Con qual valor vincesti le Gorgoni,
Come acquistasti quella horribil fronte,
Che fe di quel gran pesce in mare un monte.
Perseo cortese al cavalier si volòse,
Poi fe, che queste note og’uno intese,
Da poi, ch’inanimar quel Re mi vuoolse,
Che n’ha nutrito si dubbiose imprese;
A’ favorirmi mi sorella tolse
Minerva, e con Mercurio in terra scese;
E non mi lasciar porre a quel periglio
Senza l’aiuto loro, e’l lor consiglio
Lo scudo al braccio Pallade mi pone,
Mercurio l’ali à pie, la spada al fianco,
Poi disse Palla: Il capo di Gorgone
Havrai senza restare un marmo bianco,
S’ove il Sol ne l’Hesperia si ripone,
Tu saprai ritrovar il lato manco
Dove assicura due sorelle un muro,
Che vecchie son, ne giovani mai furo.
D’un figlio di Nettuno Forco detto
Nacquero, e come uscir dal materno alvo
Cangiaro à un ytratto il puerile aspetto
La camicia al volto, e’l capo calvo.
Nacquer de lumi anchor private, eccetto
Ch’un occhio fuor d’opgni costume
Amnc’hoggi gode hor l’una, hor l’altra lume.
Permise questo il lor fier destino
Per dar castigo al troppo empio peccato
Di Forco, il qual contra il voler divino
Fu da si obsceni vitij accompagnato,
Che si congiunse ad un mostro marino,
E nacquer dal coito scelerato
Queste, à cui mostra un’occhio il giorno e’l cielo,
Che fu cavo in un penuto il volto, e’l pelo.
Vizze, canute, curve, e rimbambite
Si per con larga bocca, e labra schive,
Co’l mento in fuor pensose, e sbigottite
Come fosser cent’anni state vive.
Com le vide il padre si stordite,
E d’ogni honor fortezza prive,
Del patrio le scacciò Corsico sito,
E le fe por sù l’Africano lito.
Ma non potè Pluton lor zio soffrire,
Che le nepoti del tutto abbandonate,
Penasser lì senza poter morire,
Che sapea, ch’immortali erano nate.
Onde per donar lor forza, et ardire
Andò là dove attonite, e insensate
Sediano, e le dotò si sin gran pregio,
Che poi mai più non s’hebbero in dispregio
Quattro Coturni alati esser contente
Le fer, da quali i pied hebber si snelli,
Ch’elle non sol dapoi non fur si lente,
Ma giro à par de’ più veloci augelli
La prova voller fare l’immantinente
De rari stivaletti, alati e belli
E visto si veloci havere i vanni,
Tutti scacciano i canuti affanni
Con quest’ali cercar la terra, e’l mosse
E dopo più d’un volo, e più d’un giro,
Ne l’Atlantico lito ad habitare
Incontro à gli horti Hesperidi ne giro
Hor queste t’è mistier di ritrovare
S’adempier brami il troppo alto desiro.
Che quelle, che tu cerchi, in parte stanno,
Che queste dette Gree sole lo sanno.
Sanno anchora una vale amena, e bella,
Ch’alcuni illustri Ninfe hanno in governo,
Ricche d’un morione, il qual s’appella
L’invisibil celata de l’inferno.
Formata fù da l’infernal facella,
Et hebbe tempra tal lago averno
Che fe la porta à forte un capo alcuno,
Veduto esser non puote, e vede og’uno.
Ne fece gratia lor l’infernal Nume,
Con legge, ch’altrui mai non si credesse
Se non à le due Gree, ch’hanno un sol lume,
S’alcuna di lor due d’huopo n’havesse.
Fece le dee giurar su’l nero fiume
Pluton, prima che dar loro la volesse,
Che l’una, e l’altra vecchia sua nipote
Volle anchor rallegrar con questa dote.
Se giunger cerchi al destinato scopo,
Più d’un da queste haver convienti aiuto,
Ch’à le Ninfe ti guidena, e che dopo
La celata per te chieggion di Pluto.
Ma se questo ottener brami, t’è d’huopo,
Che vadi più, che puoi nascosto, e muto,
Che per promesse mai, ne per preghiere
Non postresti da lor questo ottenere.
Ch’à le Gorgoni son le Gree sorelle,
Di Forco nate, e del mostro marino
E per non farsi al lor sangue ribelle.
Mai non ti mostrerebbono il camino.
Ch’essendo mostruose, e schive, anch’elle
Una, perchè peccò, due per destino,
Si stanno in un deserto afflitte, e triste
E non si curan molto d’esser viste.
Hor se tal coppia haver brami per duce,
Che volan sì, che’l folgore è più tardo,
E l’elmo, ch’invisbil l’huom conduce
Convienti ad una cosa haver riguardo.
Che cerchi d’involar lor quella luce,
Ond’han comune hor quella, hor questa il guardo.
E sappi certo s’involar la puoi,
Che da le Gree trarrai ciò, che tu vuoi
Se l’occhio involar puoi, no’l render mai,
S non giurano pria d’esser tua scorta,
E se per mezzo lor l’elleno non hai,
Che par gir invisibile chi’l porta,
Perche se senza lui visibil vai,
Anchor, che sia da te Medusa morta,
da l’altro Euriale detta, e da Stenone,
T’è forza rimaner morto, ò prigione
Tu dei saper, che son nate immortali
Le due, che son con lei, figlie di Forco.
Et ambe d’Aquila han veloci l’ali,
E le zanne più lunghe assai d’un porco.
E son si bellicose, e si fatali,
che se non porti il morion de l’orco,
Essendo tu mortal nato, e non devo,
Non te ne lasciaran partir mai vivo.
D’un’altra cosa anchora io t’ammonisco,
Che mentre intento voli al capo crudo,
Se d’impetrarti non vuoi correr risco,
fa, che guardi continuo in questo scudo.
Che se qui dentro il crudo basilisco
Miri, non ti può far de l’alma ignudo.
Con questo specchio ti consiglia, come
Puoi tor la vita à le tremende chiome.
Guarda qui dentro, e poi vanne à l’indietro
Et à lei giunto d’un rovescio dalle,
Che l’aere ripercosso in questo vetro,
Ti mostrerà da per venirvi il calle.
Come la vedi degna del feretro,
Che l’harai tolto il capo da le spalle,
Volgi sicuri à lei lo sguardo, e’l passo,
Che s’hai lo scudo, non ti può far sasso.
Poi che m’hebbe del fatto à pieno istruito,
E di torre à le dee l’unico lume,
Io me ne vado in aria alta condotto,
Verso le Gree da le Cillenie piume.
Mor sotto ho’l mare, hor u’haggio il lato asciutto,
Ne m’arresta aspro monte, ò largo fiume.
Giungo al lor luogo, e smonto in un boschetto,
Dove m’havea la mia sorella detto.
Stammi in quello albereto ombroso, e folto
Fin ch’escon nel giardin per lor diporto:
E riguardo per lutto, e non sto molto,
Ch’ambe io le veggio passeggiar per l’horto.
Miro fra fronde e fronde ad ambe il volto,
Infin, che l’occhio illuminato ho scorto,
Sto cauto, e come commodo mi viene,
Volo dietro à colei, che l’occhio tiene.
Mentre à la vecchia ovunque si diporta
Io son sempre à le spalle, odo, che chiede
Quell’occhio, il quale illumina, ch’l porta,
La Grea, che ne sta senza, e che non vede.
La sorella, cortese e poco accorta
Se’l cava da la fossa, dove siede.
Stendo io la man, mentre à l’altra il porge,
E dallo à me per lei, ne se n’accorge.
Allhor di in volo alquanto io mi discosto,
Et odo anchor colei, che l’occhio vole,
L’altra risponde, haverglielo in man posto,
E van moltiplicando le parole.
Io non potei tener le risa, e tosto
Volan ver me per riacquistar il sole,
Ma ne’ coturni havendo anch’io le piume,
Prender non mi potean senz’il lor lume.
Al fin se voller l’occhio, lor fu d’huopo
Di torsi via d’ogni altra opinione,
Giurar condurmi al destinato scopo,
Et impetrar la cuffia di Plutone
Rendo lor l’occhio desiato, e dopo
Voliam ver l’invisibile morione.
Servan le Ninfe al fatto il giuramento,
E del dono infernal mè fessi contento.
Dopo lungo volar sento, che dice
Quella, che l’occhio havea, noi siamo al passo.
S’à te veder la mia sorella Lice,
Senza, che t’habbi a trasformare in sasso,
guarda, che dorme là in quella pendice,
Se tu la vuoi veder, tien l’occhio basso.
Non vi guard’io, resta Medusa à dentro,
Tanto, che ripercote entro il mio vetro.
Come l’ho ne lo scudo, in terra scendo,
E come il granchio verso lei camino.
Riguardo ne lo specchio, e’l ferro prendo,
Tanto, ch’à lei che dormo, m’avicino.
Come vi giungo, il braccio indietro stendo,
E co’l consiglio e co’l favor divino
Le tiro un gran rovescio sopra il collo,
E’l tronco, e le fo dar l’ultimo scrollo.
Da l’aere ripercosso il vetro fido
Il tronco collo à gli occhi mi riporta,
Et ecco sento un lagrimoso strido,
Che fa in aria colei, che l’occhio porta.
Risuona à pena il mesto, e flebil grido,
Medusa(oime) la sua sorella è morta,
Ch’odo anchor l’altra vecchia, che non vede
Che seco divolsi, e stride, e l’aria sode
À pianti, à gridi lor non pongo mente
Ma prendo il tronco capo, et ecco intanto
Euriale con Stenon, ch’el grido sente,
Corron, e l’una, e l’altra accresce il pianto,
Arrotario il porcino, e crudo dente,
E se non m’acsondea l’infernal manto,
Vidi ciascuna si veloce e forte,
Che fuggita à gran pena havrei la morte
Mentre guardando in terra al cielo aspiro,
Per gire à le mie parti amene, e belle,
Et ascolto ogni pianto, ogni martirio,
Che dico le dee Gree, con le sorelle,
Unirsi il sangue di Medusa miro,
E pare altro colore, et altra pelle;
E’n mancotempo, ch’io non l’ho contato,
Si fe guarito un bel cavallo alato.
Io, che’l veggio si forte, agile e bello,
E tanto al maneggio, al volo, al corso,
D’un volo vò su’l quadrupede augello,
Ch’io vo veder, come obedisce al morso.
E’l trovai si latin, veloce, e snello,
Che su lui tutto l’aere ho visto, e corso.
E dopo haver cercato il mondo tutto,
A’ farmi sposo il volo qui m’ha condutto.
A’ tal successo sol fu questo aggiunto,
Che per non esser falso, ne pergiuro,
Come al giardin fu de le Ninfe giunto,
Lasciò l’elmo infernal dentro al lor muro.
Poi credendo arrivato essere al punto,
Chiuse la porta al suo parlar, ma furo
Quei principi si vaghi del suo dire,
Ch’anchor questo vollero udire.
Annotationi del quarto libro
Perseo che sopra il Pegaseo va all’impresa di Medusa significa l’huomo che si lascia guidare dal desiderio della fama, il qual ha sempre appresso di se lo scudo di Pallade che non è altro che la prudentia, con la quale fa sovente bisogno che andiamo misurando gli andamenti de i nostri nemici, per poterse accortamente difendere così da gli sforzi, come dalle insidie loro; significano poi i talari di Mercurio la prestezza e la vigilanza, con la quale dovemo dar esecutione alle cose maturamente discorse, erisolute. Taglia Perseo il capo crinito de’serpenti a Medusa, quando togliemo noi la forza alle machinationi de gl’inimici; i quali fuggiono poi vedendo i suoi laidi pensieri nello scudo della nostra costantia, e del nostro valore; come fuggiva Medusa vedendo la sua faccia spaventevole; tenuta da esso per bellissima prima che Minerva la cangiasse in quella maniera, che del sangue del capo di Medusa, ne nascessero i serpenti in Libia, vuol significare che l’insidie, e le machinationi nell’animo de gl’inimici generano veneno alle volte più crudele che quello de’serpenti.