1553
LODOVICO DOLCE, Le Trasformazioni, Gabriele Giolito, Venezia, 1555
Canto decimo (pp. 103-104)
E cominciò sotto il gelato Atlante
Cinto di grosse mura un luogo giace
Di questo là, donde si passa avarte
Seava il seme Forco empio e rapace;
Ch erano di bellezza assai prestante
Tre giovani sorelle. Una verace
Cosa io dirò, che vi parrà menzogna
Quasi erano, ch’inferno sogna
Che tuttatre per li bisogni loro
Non havevano più, che un’occhio solo
Et a vicenda il compatione fra loro
Senza ch’altra n’havesse invidia o duolo
Sol per haver veduto il fiero aspetto
De l’empia, a cui pur fur Medusa nome
Laqual, si come a molti è stato detto,
Di velenose serpi havea le chiome
Ma non potè in me far l’istesso effetto
Che fece in altri; e intenderete, come
Dico, che contra la mortale offesa
Uno scudo cristallino in se difesa
Questa Palla mi die cortese e pia
Ond’io mi feci uno specchio, e mi copersi
E trovando Medusa, che dormia
La nuda spada nel suo sangue immersi
Così levai la testa a quella ria,
Con lei cercando poi luoghi diversi
Per diversi paesi; e l’aria a volo
Guarda, quasi d’un à l’altro polo
Udrete ancor maraviglioso caso
Che del suo sangue un giovinetto nacque
E inalato cavallo, il qual Pegaso
(E non senza cagion) nomar mi piacque