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498 a.C.

PINDARO, Pitica X, A Ippòclea Tessalo vincitore nella doppia corsa dei ragazzi

 

 

Sparta è felice,

la Tessaglia beata. D’entrambe

è regina la stirpe, da un solo padre discesa,

d’Eracle supremo in battaglia.

È questo un vanto inopportuno?

Ma Pito e Pelinneo mi chiamano

e i figli d’Àleva

desiderosi di portare a Ippòclea

la gloriosa voce del coro d’uomini

che celebra la sua vittoria.

Egli assapora le gare,

e all’assemblea di genti vicine

la valle del Parnaso l’ha proclamato primo

tra i ragazzi nella doppia corsa.

Per gli uomini, Apollo, dolce è la fine

e il principio nella dolcezza cresce

se il dio sospinge;

questo certo egli ha fatto mercé le tue cure,

ma nell’indole segue

l’orme del padre,

che vinse due volte in Olimpia

cinto dell’armi bellicose d’Ares;

anche sotto la rupe di Cirra,

l’agone, nel prato profondo,

fece di Fricia il più forte nei piedi.

Anche nei giorni futuri il destino li segua

sì che cospicua ricchezza

fiorisca per essi;

poi ch’ebbero in dono non esigua parte

delle gioie dell’Ellade,

non incorrano per l’invidia degli dei

nei rovesci della sorte.

Dio sia loro propizio;

felice e celebrato dai poeti

è l’uomo che vincendo

con le mani o la virtù dei piedi

colga i massimi premi

con la forza e l’ardire,

e vivo ancora veda

il suo giovane figlio ottenere

a buon diritto le corone pitiche.

Giammai può scalare il cielo di bronzo;

di tutte le splendide cose

che noi stirpe mortale attingiamo,

navigando egli tocca l’ultimo approdo;

ma tu non troverai per mare

né a piedi la via meravigliosa

che porta alle feste degli Iperborei.

Un giorno presso si loro sedette a convito

Pèrseo condottiero di popoli

entrato nelle loro dimore,

li colse mentre immolavano al dio

splendide ecatombi d’asini;

sempre dei loro festini e delle lodi

molto gioisce Apollo, e ride vedendo eretta

l’impudica violenza delle bestie.

Dai loro modi di vita

non è bandita la Musa:

volteggiano ovunque cori di fanciulle,

suoni di lire e strepiti d’auli;

cinti nelle chiome

di lauri d’oro

banchettano allegramente.

Né morbo e funesta vecchiaia

contagiano quella sacra progenie;

e senza fatiche e battaglie

 

dimorano lungi da Nèmesi

severamente giusta.

Un giorno spirando arditezza

giunse il figlio di Danae, e lo guidava Atena,

all’assemblea di quegli uomini beati;

uccise la Gòrgone

e la sua testa variegata

di chiome di serpi venne recando,

morte pietrificante, agli isolani.

A me nessuna cosa che desti meraviglia,

 

quando gli dei la compiano,

appare non degna di fede.

Trattieni il remo e rapido da prua

pianta al suolo l’ancora

riparo da scogli a fior d’acqua.

Il fiore degli inni di lode

è come un’ape che salta

da un argomento all’altro.

Io spero che, quando gli Efirèi

lungo il Penèo riversano

la mia dolce voce,

farò con i miei canti

ancor più mirabile Ippòclea

per le sue corone

tra i suoi compagni e gli anziani

e nel pensiero delle giovani vergini.

L’amore affligge a chi di una cosa

a chi di un’altra l’animo;

se ognuno ottiene ciò che brama,

afferri l’ambìto oggetto

del desiderio che è ai suoi piedi;

nessun indizio può far prevedere

gli eventi di un anno. Io confido

nella benigna ospitalità di Torace:

sollecitando il mio canto aggiogò

questa quadriga delle Pieridi

amando chi l’ama

guidando chi volentieri lo guida.

A chi lo saggia l’oro splende

al tocco della pietra:

così l’animo retto. Loderemo

i suoi valenti fratelli ché innalzano

la legge dei Tessali

e la fanno fiorire;

sono in nobili mani

aviti insigni governi di città.