I sec. a.C. – I sec. d.C., 9-19 d.C.
M. MANILIO, Astronomica, V, 538-630
Testo da: http://www.thelatinlibrary.com/manilius1.html
Andromedae sequitur sidus, quae Piscibus ortis
bis sex in partes caelo venit aurea dextro.
hanc quondam poenae dirorum culpa parentum 540
prodidit, infestus totis cum finibus omnis
incubuit pontus, fluitavit naufraga tellus,
et quod erat regnum pelagus fuit. una malorum
proposita est merces, vesano dedere ponto
Andromedan, teneros ut belua manderet artus.
hic hymenaeus erat, solataque publica damna
privatis lacrimans ornatur victima poenae
induiturque sinus non haec ad vota paratos,
virginis et vivae rapitur sine funere funus.
at, simul infesti ventum est ad litora ponti,
mollia per duras panduntur bracchia cautes; 550
astrinxere pedes scopulis, iniectaque vincla,
et cruce virginea moritura puella pependit.
servatur tamen in poena vultusque pudorque;
supplicia ipsa decent; nivea cervice reclinis
molliter ipsa suae custos est visa figurae.
defluxere sinus umeris fugitque lacertos
vestis et effusi scapulis haesere capilli.
te circum alcyones pinnis planxere volantes
fleveruntque tuos miserando carmine casus
et tibi contextas umbram fecere per alas. 560
ad tua sustinuit fluctus spectacula pontus
assuetasque sibi desit perfundere rupes,
extulit et liquido Nereis ab aequore vultus
et, casus miserata tuos, roravit et undas.
ipsa levi flatu refovens pendentia membra
aura per extremas resonavit flebile rupes.
tandem Gorgonei victorem Persea monstri
felix illa dies redeuntem ad litora duxit.
isque, ubi pendentem vidit de rupe puellam,
deriguit, facie quem non stupefecerat hostis, 570
vixque manu spolium tenuit, victorque Medusae
victus in Andromeda est. iam cautibus invidet ipsis
felicisque vocat, teneant quae membra, catenas;
et, postquam poenae causam cognovit ab ipsa,
destinat in thalamos per bellum vadere ponti,
altera si Gorgo veniat, non territus illa.
concitat aerios cursus flentisque parentes
promissu vitae recreat pactusque maritam
ad litus remeat. gravidus iam surgere pontus
coeperat ac longo fugiebant agmine fluctus 580
impellentis onus monstri. caput eminet undas
scindentis pelagusque vomit, circumsonat aequor
dentibus, inque ipso rapidum mare navigat ore;
hinc vasti surgunt immensis torquibus orbes
tergaque consumunt pelagus. sonat undique Phorcys
atque ipsi metuunt montes scopulique ruentem.
infelix virgo, quamvis sub vindice tanto
quae tua tunc fuerat facies! quam fugit in auras
spiritus! ut toto caruerunt sanguine membra,
cum tua fata cavis e rupibus ipsa videres 590
adnantemque tibi poenam pelagusque ferentem
quantula praeda maris! quassis hic subvolat alis
Perseus et semet caelo iaculatur in hostem
Gorgoneo tinctum defigens sanguine ferrum.
illa subit contra versamque a gurgite frontem
erigit et tortis innitens orbibus alte
emicat ac toto sublimis corpore fertur.
sed, quantum illa subit, semper, iaculata profundo,
in tantum revolat laxumque per aethera ludit
Perseus et ceti subeuntis verberat ora. 600
nec cedit tamen illa viro, sed saevit in auras
morsibus, et vani crepitant sine vulnere dentes;
efflat et in caelum pelagus mergitque volantem
sanguineis undis pontumque exstillat in astra.
spectabat pugnam pugnandi causa puella,
iamque oblita sui metuit pro vindice tali
suspirans animoque magis quam corpore pendet.
tandem confossis subsedit belua membris
plena maris summasque iterum remeavit ad undas
et magnum vasto contexit corpore pontum, 610
tum quoque terribilis nec virginis ore videnda.
perfundit liquido Perseus in marmore corpus,
maior et ex undis ad cautes pervolat altas
solvitque haerentem vinclis de rupe puellam
desponsam pugna, nupturam dote mariti.
hic dedit Andromedae caelum stellisque sacravit
mercedem tanti belli, quo concidit ipsa
Gorgone non levius monstrum pelagusque levavit.
Quisquis in Andromedae surgentis tempora ponto
nascitur, immitis veniet poenaeque minister 620
carceris et duri custos, quo stante superbe
prostratae iaceant miserorum in limine matres
pernoctesque patres cupiant extrema suorum
oscula et in proprias animam transferre medullas.
carnificisque venit mortem vendentis imago
accensosque rogos, cui stricta saepe securi
supplicium vectigal erit, qui denique posset
pendentem e scopulis ipsam spectare puellam,
vinctorum dominus sociusque in parte catenae
interdum, poenis ut noxia corpora servet. 630
Traduzione da: M. Manilio, Astronomica, a cura di Liuzzi D., libro V, Congedo Editore, 1997
Viene poi la costellazione di Andromeda la quale, splendente come l’oro,
sorge dalla parte destra del cielo quando i Pesci sono giunti al loro dodicesimo grado.
Un tempo la colpa di genitori disumani inviò questa al supplizio
Quando il mare minaccioso si riversò tutto sulle terre (dell’Africa);
la terra temette un universale naufragio
e ciò che era un regno, diventò mare; essa sola fu offerta
come ricompensa dei mali e abbandonarono Andromeda ai flutti adirati
affinché il mostro avesse in pasto le tenere membra.
Questo era l’imeneo per alleviare i danni pubblici
Con quelli privati; lei vittima, piangendo, viene adornata
Per il sacrificio ed indossa le vesti preparate n on per un simile sacrificio
E senza pompa funebre, viva, è trascinata al sepolcro.
E, allorché si giunse alle rive di quel mare ostile,
sulle dure rocce vennero distese le sue molli braccia,
i suoi piedi furono legati agli scogli e fu ricoperta di catene
e lei, fanciulla, fu appesa alla nuova croce sulla quale doveva morire.
Conserva tuttavia nel supplizio il decoro ed il pudore;
i tormenti stessi la rendono più bella; con il capo reclinato sul candido collo
mollemente, lei stessa appare la sola custode della sua bellezza.
Le vesti caddero sulle spalle e lasciarono nude le braccia
ed i capelli, sciolti , ondeggiarono sulle spalle.
Gli alcioni, volando intorno, ti percossero con le loro penne
E con flebile pianto piansero la tua sorte
E, congiungendo le ali, ti fecero ombra.
Alla tua vista lo stesso mare trattenne i suoi flutti
E non osò toccare quelle rocce che erano a lui abituali;
una Nereide mostrò fuori dal limpido mare il volto,
e, commiserando il tuo caso, spruzzò anche le onde (delle sue lacrime).
La stessa aura che, con un soffio leggero, ristorava quelle membra pendenti,
tra le cime delle rupi fece correre un lamentevole suono.
Finalmente Perseo, che ritornava vincitore dell’orribil Gorgonie
Un fortunato giorno si portò presso quelle rive.
E quello, quando vide la giovinetta sospesa allo scoglio,
si irrigidì nel volto che neppure la Gorgonie, nemica, aveva turbato,
e a stento riuscì a trattenere nella mano la spoglia e, vincitore di Medusa,
fu vinto da Andromeda. E subito invidia quei sassi
e chiama felici quelle catene che avvinghiano le membra;
e, dopo che conobbe dalla stessa la causa della sua pena,
decise di dichiarare guerra al mare per giungere al talamo
anche se fosse venuta un’altra Gorgonie, non atterrito dall’ira (di quella).
Velocemente fende l’aria ed i genitori piangenti
Consola con la promessa della vita (di Andromeda) e, concluso il patto di diventare lo sposo,
torna al lido. E già gonfiandosi il mare cominciava
a sollevarsi ed i flutti fuggivano in lunga schiera
mentre il peso del mostro li spingeva. È visibile il capo di colui che fende
le onde e vomita l’acqua che rimbomba urtando i suoi denti
e (sembra) che il rapido mare navigji nelle sue fauci;
dall’altra parte, per le sue immense spire si formano grandi vortici
ed il suo dorso sembra occupare tutto il mare. Da ogni parte rimbomba Forco
e gli stessi monti e gli scogli fremono al suo precipitarsi.
Infelice fanciulla, quale era allora il tuo aspetto sebbene fossi sotto
un tale difensore! Quanta fretta la tua anima
fuggì nel cielo! Come cessò di scorrere il sangue nelle tue membra
allorché da quegli scogli tu vedesti(avvicinarsi) la tua morte
ed il supplizio(il mostro) che nuotava verso di te ed il mare che lo portava!
quale piccola preda per un tale mostro! con quanto grandi ali invece
si leva a volo Perseo e, rimanendo sospeso nell’aria, si scaglia contro il nemico
conficcando in lui la spada ancora tinta di sangue della Gorgone.
il mostro si solleva contro ed innalza la fronte fuori dal gorgo
e appoggiandosi sulle attorcigliata spire, schizza fuori
e giganteggia con tutta la sua immensa mole.
ma quanto quello si scaglia slanciandosi dal mare profondo
tanto Perseo vola più in alto e scherza per il libero cielo
e colpisce il volto dell’immane mostro che lo incalza.
Tuttavia quello non cede all’uomo, ma anzi s’infuria e morde
l’aria ed i denti, senza colpire, sbattono invano;
vomita anche in aria l’acqua ed inonda l’eroe volante
di un fiume di sangue e quasi solleva il mare fino alle stelle.
Osservava la fanciulla i duello di cui era causa
e già, dimentica di sé, cominciava a temere per un tale difensore
sospirando e soffriva più nell’animo che nel corpo.
infine, con le membra trafitte, il mostro si accasciò
colmo di acqua e di nuovo tornò a galla
e coprì con il suo vasto corpo un’ampia distesa di mare
ma ancora sempre orribile perché fosse guardato da una fanciulla.
Perseo allora immerge il corpo nelle liquide acque
E ancora più gagliardo da quelle onde vola verso gli alti scogli
E libera dalla rupe l’incatenata fanciulla
Promessagli in sposa, la quale lo avrebbe sposato dal momento che
la battaglia era il dono nuziale del marito.
Questi (Perseo) ottenne per Andromeda l’onore del cielo e la consacrò tra le costellazioni
Degno compenso di un sì glorioso duello nel quale uccise un mostro
Non meno pericoloso della Gorgonie e liberò il mare (da un simile mostro).
Chiunque nasca quando Andromeda sorge dal mare
Sarà uno spietato ministro di pene
E custode di duro carcere; dinanzi a lui, che se ne sta ritto con arroganza,
giacciono prostrate sulla soglia le madri degli infelici prigionieri
ed i padri, che vegliano tutta la notte nel desiderio di poter dare gli ultimi baci
ai figli e di trasferire nella propria anima gli estremi respiri.
Potrà nascere il carnefice che fa commercio della morte
Degli accesi roghi e della scure così spesso brandita.
Il supplizio sarà (per lui) fonte di guadagno; costui avrebbe potuto
Guardare (impassibile) la fanciulla (Andromeda) pendente dagli scogli,
signore dei prigionieri e, in parte, compagno di prigionia,
e talvolta custodirà per il supplizio di uomini innocenti.