Titolo dell’opera: Marte e Venere catturati da Vulcano
Autore: Luca Giordano
Datazione: 1670
Collocazione: Vienna, Gemaldegalerie der Akademie der bildenden Künste
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (232 x 182 cm)
Soggetto principale: Vulcano mostra l’adulterio di Marte e Venere agli dei
Soggetto secondario: fucina
Personaggi: Marte, Venere, puttini, Vulcano, Ciclopi, Giove, Nettuno, Apollo, Mercurio
Attributi: corazza, scudo, elmo (Marte); catene (Vulcano); petaso (Mercurio)
Contesto: scena d’interno
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://www.liechtensteinmuseum.at/en/pages/1553.asp
Bibliografia: D’Arcais F., Di un libro su Luca Giordano e i suoi rapporti col Veneto, in “Arte Veneta”, XXI, 1967, p. 247-249; Pallucchini R., La pittura Venezia del Seicento, Electa, Milano 1981, vol. I; Fleischer M., in Luca Giordano 1634-1705, catalogo mostra (Napoli-Vienna-Los Angeles, 2001) Electa, Napoli 2001
Annotazioni redazionali: La tela, in precedenza di proprietà della collezione Mestral de St. Saphorin, si trova alla Gemäldegalerie, di Vienna, giunta in questa collocazione in seguito alla donazione fatta dal conte Lamberg-Sprinzenstein, che ne era in possesso, nel 1822. Questo, come altri quadri ispirati ad una serie di immagini mitologiche, appartengono ad una serie di grande formato, databili fra il 1670 e il 1675, in cui Giordano si orienta verso una monumentalità, ispirata all’antichità classica. Il tema dell’amore di Marte e Venere, trattato in varie tele da Luca Giordano (Cfr. scheda opera 76 e scheda opera 77), è colto in questa raffigurazione nel momento della cattura da parte di Vulcano dei due amanti, legati dalla rete d’oro, da lui precedentemente preparata, così come narrato da Ovidio e da altre fonti letterarie. Questa versione del tema presenta riferimenti più o meno espliciti ad una piccola tavola di rame di Carlo Saraceni, raffigurante Venere e Marte poco prima della scoperta dell’adulterio, di cui il quadro riprende quasi alla lettera gli amanti e la grottesca figura di fauno ai piedi del letto, ma invertiti specularmente. Nel trattare il tema, Luca Giordano sottolinea non tanto la gioiosa unione della dea dell’amore con il dio della guerra, che ha deposto le sue armi, quanto la scabrosa scoperta del loro segreto. La scena, infatti, vede sulla sinistra i due amanti, sorpresi in flagrante. La dea è nuda, già in parte avvolta dalla rete, mentre alza verso l’alto uno sguardo imbarazzato e intimidito, mostrando il viso coperto da lieve rossore, come espresso in forma ironica da Luciano (Vulfc25). Il Sole, che per primo vede tutto, come dice Ovidio (Vulfc15), illumina il suo corpo e rende manifesto a tutti l’adulterio della coppia.Marte, ancora con il braccio che avvolge le spalle di Venere, si volta verso il centro della scena, indicando, con il gesto e lo sguardo, quanto sta compiendo Vulcano. Ai piedi del letto un puttino, dorme abbandonato su una coperta dorata. In alto, invece, un altro puttino, nel sollevare la cortina rossa del letto, si rende conto della situazione e rivolge lo sguardo verso l’alto, dove si trovano gli dei, con espressione stupita. In linea con il piccolo addormentato, si intravede la figura inquietante di un fauno che, pur essendo un semplice elemento decorativo, inanimato, del letto nuziale, volge il volto interrogativo e preoccupato verso i due amanti, dimostrando una partecipazione, in parte ironica, di commento esterno dell’artista a questa vicenda. Sulla sinistra si vede la figura di Vulcano, reclinato e rivolto verso i due amanti, che presenta, nell’espressione, un aspetto torvo e vendicativo, colto ancora nella tensione dello sforzo fatto per lanciare la rete e, soprattutto, della rabbia interiore. È un tipo di iconografia inusuale, che coglie il momento in cui Vulcano ha solo in parte imprigionato i due amanti, legati nelle gambe, ma non del tutto impediti nei loro movimenti. Il suo aspetto si distacca, sia nelle sembianze, sia nell’espressione, da quello di Marte e Venere, che, pur sorpresi e intimiditi, non hanno atteggiamenti di rancore. Sotto di lui sono poste le armi che Marte ha tolto nel momento dell’incontro con la dea. Sono a terra la corazza, lo scudo e l’elmo con il cimiero, ben lavorati, ad indicare sia la loro inutilità di fronte all’amore, sia l’opera di Vulcano che le aveva forgiate per il dio della guerra, quando ancora era ben lontano dal sospettare l’adulterio di sua moglie. Dietro, al centro, contro una fonte di luce che annuncia l’alba, che ha permesso di svelare il segreto, si stagliano, in lontananza, le immagini di due Ciclopi, che lavorano alacremente nella fucina di Vulcano. Nel cielo un po’ scuro, per le nubi che rendono turbato l’ambiente, si trova un gruppo di divinità, verso le quali si rivolgono Venere e il puttino. Sono intervenute, richiamate da Vulcano, per assistere al momento della scoperta dell’adulterio, per mettere maggiormente in imbarazzo i due colpevoli. Fra esse si riconoscono, in primo piano, Giove, seduto sul trono, coperto da un ampio mantello, che indirizza lo sguardo verso il basso, dove si sta compiendo la rivalsa di Vulcano, a sinistra Nettuno, che preferisce rivolgersi verso il padre degli dei, in dissenso con quanto sta avvenendo (Omero, Vulfc01, vv. 344-356 ed Ovidio, Vulfc14, v. 587), tanto da sollecitare la fine di questa sgradevole situazione, a destra un dio nudo, seduto di spalle, forse Apollo, che guarda i due amanti con sguardo interrogativo ed un po’ ironico e dietro di lui Mercurio, ben riconoscibile per il petaso. Più lontano, non identificabili individualmente, sono raffigurate molte altre divinità, maschili e femminili, che sono accorse prontamente alla richiesta di Vulcano, per divertirsi alle spalle dei due colpevoli.Sono divinità sia maschili sia femminili, secondo la tradizione ovidiana, che non ne indica né il nome, né il sesso, ma ne parla in generale, diversamente da Omero che, invece, dice che le dee sono rimaste a casa per pudore.
Giulia Masone