Titolo dell’opera: Venere, Marte e la fucina di Vulcano
Autore: Luca Giordano
Datazione: 1658-60
Collocazione: Londra, collezione Sir Denis Mahon
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (131 x 158 cm)
Soggetto principale: amori di Marte e Venere
Soggetto secondario: Vulcano nella sua fucina; Supplizio dei giganti Issione e Tizio
Personaggi: Marte, Venere, Amore, Vulcano, Ciclopi
Attributi: scudo (Marte); incudine, martello (Vulcano); avvoltoi (Tizio); ruota (Issione)
Contesto: scena d’interno
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Briganti G., The Mahon Collection of Seicento Paintings, in “The Connoisseur”, CXXXII, 1953, pp. 4-18; Griseri A., Luca Giordano “alla maniera di ...”, in “Arte Antica e moderna”, XIII-XVI, 1961, pp. 417-438; Pallucchini R., La pittura Venezia del Seicento, Electa, Milano 1981, vol. I; Spinosa N., a cura di, La pittura napoletana del ‘600, Longanesi, Milano 1984; Ferrari O. – Scavizzi G., Luca Giordano. L’opera completa, Electa, Napoli 1992; Finaldi G. – Kitson M., a cura di, Alla scoperta del Barocco italiano. La collezione Denis Mahon, catalogo mostra (Bologna, Pinacoteca Nazionale, 1998) Marsilio, Venezia 1998; Fleischer M. - Muzii R., in Luca Giordano. 1634-1705, Catalogo mostra (Napoli, Castel Sant’Emo, 2001), Electa, Napoli 2001
Annotazioni redazionali: Il dipinto di Luca Giordano, acquistato dall’attuale proprietario, Sir Denis Mahon, da Roderick Thesiger, a Londra, nel 1950, è databile agli anni 1658-1660, quando maggiore era, nel pittore napoletano, l’influenza di Rubens. Il dipinto rappresenta una sintesi del mito che tramanda l’amore di Venere per Marte (Cfr. scheda opera 77 e scheda opera 78). I due amanti sono raffigurati protetti nel buio di una cortina, posta intorno al letto, utilizzata per nascondere l’adulterio. La dea è rappresentata nuda, con un velo intorno ai fianchi, e i capelli lunghi. Si adagia sul letto, appoggiando il braccio sulle coltri, mentre, nell’altro, regge il piccolo puttino, che si rannicchia contro di lei. Sul fondo destro della tela appare Marte, che si protende verso l’amante, invitando al silenzio, mentre cerca di non apparire nel chiarore che sta avvolgendo la dea. È vestito con le armi, quelle stesse che Vulcano aveva forgiato per lui, quando ancora non era consapevole del tradimento della moglie, armi belle, come narrato da Boccaccio, che riporta le parole di Stazio (Vulfm16, IX, cap. III). In primo piano è poggiato a terra lo scudo con il quale giocano dei puttini, mentre altri, in alto, sollevano la cortina di velluto, permettendo al Sole di penetrare nella stanza. La presenza dei puttini, che giocano con le armi, fa parte di un’iconografia che prende spunto dalle fonti letterarie di Stazio (Vulfc21) e di Reposiano (Vulfc29). All’ambiente interno in cui si trova Venere e al chiarore della luce, che colpisce il suo corpo, corrisponde l’altra metà del quadro, dove è inserita la fucina, in cui, secondo la tradizione omerica, lavora Vulcano, del tutto ignaro di quanto, nel frattempo, sta succedendo nelle sua casa e nel suo letto, disonorato dai due adulteri (Omero, Vulfc01, v. 269; Ovidio, Vulfc15, vv. 183-185; Luciano, Vulfc25). Questo settore è molto luminoso, sia per la luce che proviene dal Sole, che sta sorgendo, sia per i bagliori che salgono dalla fucina, mentre il dio è impegnato nel lavoro sull’incudine arroventata. Egli è raffigurato coperto solo sui fianchi, nel pieno della sua attività, robusto, nerboruto e sudato mentre, aiutato dai Ciclopi, batte vigorosamente con il martello, per forgiare uno dei fulmini di Giove. In terra sono sparsi pezzi di armature, un cannone e delle pallottole, in un’attualizzazione del mito, trasferito ai tempi di Luca Giordano. Questo tipo di contestualizzazione, che coinvolge soprattutto la rappresentazione delle armature e delle armi in genere, è presente fin dalle opere dell’antichità, e prosegue nel corso dei secoli (Cfr. scheda opera 16, scheda opera 32 e scheda opera 64). La figura a sinistra sta adoperando il mantice, oltre la fucina si intravede il supplizio dei giganti Issione e Tizio, forse un rimando ad una punizione divina, per analoghe colpe. Nulla lascia presagire che Vulcano abbia scoperto l’adulterio della moglie, ma il chiarore all’orizzonte, che prelude all’approssimarsi nel cielo del carro del Sole, come anche il lavoro febbrile di Vulcano sull’incudine, lasciano facilmente intendere quello che succederà fra non molto, quando il Sole, scoperta “per primo”,come dice Ovidio la tresca di Marte con Venere, farà la delazione a Vulcano, secondo la narrazione presente nelle fonti letterarie a partire da Omero.
Giulia Masone