75: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera: Marte e Venere sorpresi da Vulcano

Autore: Alessandro Varotari, detto Padovanino

Datazione: 1640-45 ca.

Collocazione: Montecarlo, Collezione Corsini

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela  (176 x 208 cm)

Soggetto principale: Marte e Venere vengono intrappolati nella rete di Vulcano

Soggetto secondario:

Personaggi: Marte, venere, Vulcano, puttini

Attributi: rete (Vulcano); specchio (Venere); elmo (Marte)

Contesto: camera da letto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: http://www.latein-pagina.de/ovid/ovid_m4.htm#6

Bibliografia: Pallucchini R.,  Il mito classico nel Padovanino, in Scritti di storia dell’arte in onore di Roberto Salvini, Sansoni, Firenze 1984, pp. 483-485; Ruggeri U., Il Padovanino, Soncino, Crema 1993; Lucco M., a cura di, La pittura nel Veneto. Il Seicento, Electa, Milano 2000

Annotazioni redazionali: In questo quadro Padovanino raffigura il momento in cui Vulcano scopre l’adulterio di Marte e Venere.L’impostazione dell’episodio è quella tradizionale e ricca di elementi tesi ad identificare i personaggi e il tema trattato. La tela è occupata, per quasi tutta la sua lunghezza, dal corpo nudo di Venere, e nel contempo si indica il suo sentimento di timidezza e di imbarazzo, come evidenziato da Luciano (Vulfc25). La dea indossa solo gioielli e la sua gamba sinistra è ripiegata sotto l’abbraccio di Marte, mentre l’altra si poggia sul velo, che si è tolta nel suo incontro con l’amante, sotto il quale vi sono le armi di cui Marte si è liberato, vinto dall’amore, secondo quanto narrato da Lucrezio (Vulfc10) e Ovidio (Vulfc14, vv. 563-566). La dea, quasi per sostenersi nella posizione incerta in cui si è venuta a trovare, poggia un braccio sullo specchio tondo, da lei messo per poter identificare meglio l’eventuale arrivo di Vulcano ma che, posto in modo errato, riflette, invece, la sua figura ed il busto di Marte, tradendo lo scopo iniziale. Con l’altro braccio cerca, invano, di coprirsi con la cortina di velluto, che scende dal baldacchino del letto, in un tentativo di difesa, di fronte all’irruzione del marito, tentativo quasi inutile, sul quale ironizzano le parole di Luciano. Anche i due puttini sono impauriti e fuggono, uno dietro il letto, l’altro dietro lo specchio. Per terra, al centro del dipinto, in primo piano, c’è un vaso d’oro, caduto nel movimento concitato della dea. In un’analoga posizione di difesa e di stupore si trova Marte, rappresentato di spalle, nudo, con un braccio alzato, per ripararsi dall’ira di Vulcano. Nel movimento repentino l’elmo è schizzato via dal suo capo e sta per cadere in terra. Il dio tradito sta entrando con vigore nella stanza nuziale, dove i due sono nell’amplesso, con tutta l’ira e la rabbia provata fin dal momento in cui il Sole gli ha svelato l’adulterio che si compiva alle sue spalle. Tiene in mano la catena d’oro, alla quale ha lavorato, come narrato da Omero, per imprigionare i due amanti, e, sebbene sia più vecchio di Marte, con i capelli e la barba bianca, è però nella condizione di sconfiggere e rendere ridicolo il dio della guerra, così come narrato da Omero “il lento acchiappa il veloce” (Vulfc01, v. 329), che aveva osato profanare e disonorare il suo letto.

Giulia Masone