74: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera:  Marte e Venere imprigionati nella rete da Vulcano

Autore: Rembrandt van Rijn

Datazione: 1643

Collocazione: Amsterdam, Museum Fodor

Committenza:

Tipologia: disegno

Tecnica: penna e bistro (21 x 28,8 cm)

Soggetto principale: Marte e Venere intrappolati nella rete di Vulcano

Soggetto secondario:

Personaggi: Marte, Venere, Vulcano, Giove, Giunone, Saturno, Minerva, Mercurio, Sole

Attributi: rete (Vulcano); fulmine, aquila (Giove); pavone (Giunone); elmo (Minerva); petaso (Mercurio); raggi solari (Sole)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Benesch O., The drawings of Rembrandt. A critical and chronological catalogue, Phaidon, London 1955

Annotazioni redazionali: Questo disegno, pur essendo appena abbozzato e leggermente sbiadito, descrive chiaramente l’episodio dell’amore adultero di Marte e Venere, narrato dalle fonti letterarie a partire da Omero (Vulfc01), ma lo rappresenta in un’iconografia diversa da quella consueta. Mentre, infatti, la vendetta di Vulcano si attualegando sul letto i due amanti ed impedendo loro di muoversi, sotto lo sguardo divertito degli dei dell’Olimpo, qui, invece, il dio fabbro, dopo aver imprigionato i due amanti, li trascina nella rete, quasi come se fossero un trofeo di pesca, al cospetto di Giove, in una soluzione iconografica che rimanda, in parte, a quanto narrato da Bonsignori (Vulfm19), che dice che egli prese le corde della rete e “percosse l’un l’altro per modo che niuno se potea movere e li scosse”. Venere, in posizione reclinata, guarda a terra confusa e intimidita (Luciano, Vulfc25), mentre Marte si volge verso il padre, sul trono davanti a lui. Accanto a loro, dominandoli dall’alto con il corpo nudo, e tenendo ben stretta la cima della rete, come se non volesse far fuggire le sue prede, anche Vulcano si rivolge verso Giove, con l’atto e l’espressione di chi chiede giustizia, ed indica con la mano destra i due adulteri imprigionati. Di fronte a lui Giove, con in mano il fulmine e ai piedi l’aquila, osserva la scena. Seduta a destra, Giunone, raffigurata di schiena, nuda con un telo sulle gambe, ha in mano un uccello, probabilmente un pavone, suo attributo iconografico e si rivolge severa, nella sua funzione di protettrice del vincolo matrimoniale, verso i due colpevoli. Tutto intorno c’è una grande quantità di dei, in atteggiamenti diversi, alcuni riconoscibili per gli attributi consueti. Dietro Giove, un personaggio anziano e calvo indica Saturno, che tiene in mano un bastone che, probabilmente, sarebbe dovuto terminare con la scure. Sulla sinistra due dee sono in colloquio fra loro ed una di esse, con l’elmo in capo, è identificabile con Minerva. Più in basso, tra alcune figure chinate, si trova Mercurio, riconoscibile per il petaso in testa e per l’aria ironica e divertita con cui guarda i personaggi trascinati nella rete, come risulta dalle fonti letterarie, già da Omero e accentuato nei dialoghi di Luciano. Oltre, più lontano, sono delineate alcune figure femminili, quelle dee, cioè, che hanno preferito rimanere indietro, perché titubanti di fronte a questo episodio disonorevole. In questa iconografia si fondono, quindi, sia la tradizione ovidiana (Vulfc15, v. 186), che parlava di dei, senza sottolinearne il nome e il sesso, sia quella omerica (Vulfc01, v. 324), che invece diceva che le dee erano rimaste a casa per pudore. Infatti la presenza di divinità femminili, che guardano divertite, insieme con quelle che si ritraggono, rimanda ad ambedue le fonti letterarie. In alto, sopra a tutti, è tratteggiata l’immagine del Sole, dal quale dipartono i raggi che scendono a colpire tutta la scena. È colui che, avendo scoperto, “per primo”, con la sua luce l’adulterio, ha accusato i due amanti di fronte a Vulcano, innescandone la vendetta che qui si sta compiendo, come narrato anche da Ovidio.

Giulia Masone