73: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera: Venere e Marte sorpresi da Vulcano

Autore: Sebastiano Mazzoni

Datazione: 1638

Collocazione: Firenze, collezione Gondi

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela  (45 x 85 cm)

Soggetto principale: Marte e Venere intrappolati nella rete di Vulcano

Soggetto secondario:

Personaggi: Marte, Venere, Vulcano, Mercurio, le Tre Grazie, Cerere, Bacco, Giove, Ganimede, Iride, Pan, le Tre Parche, Saturno, puttini, Giunone, Minerva, Diana

Attributi: armi (Marte); rete (Vulcano); petaso (Mercurio); cornucopia (Cerere); edera (Bacco); aquila, fulmine (Giove); falce (Saturno); alloro (Apollo); pavone (Giunone); donna con armatura (Minerva); mezzaluna (Diana)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Gioseffi D., Inediti di Sebastiano Mazzoni, Istituto di storia dell’arte antica e moderna, Arti Grafiche, Trieste, III, 1954, pp. 1-12; Ivanoff N., Esordi di Sebastiano Mazzoni, in “Emporium”, LXIII, 1957, n. 749 pp. 195-201; Ewald G., Inedite di Sebastiano Mazzoni, in “Acropoli”, I, 1960-61, n. 2 pp. 139-142; Ivanoff N., Sebastiano Mazzoni, in Saggi e memorie di storia dell’arte, 1958-59, II, 209-280; Ivanoff N., Un contributo a Sebastiano Mazzoni, in “Arte Venera”, I, 1974, n. 1; Safarik E. A., Per la pittura veneta del Seicento: Sebastiano Mazzoni, in “Arte Veneta”, XXVIII, 1974, pp. 157-168; Pallucchini R., La pittura Venezia del Seicento, Electa, Milano 1981, vol. I; Barsanti A., Mazzoni Sebastiano, in La pittura in Italia. Il Seicento, Electa, Milano 1989, II; Benassai P., Sebastiano Mazzoni, Edifir, Firenze 1999

Annotazioni redazionali: Ildipinto appartiene alla collezione privata del marchese Amerigo Gondi di Firenze, nel cui archivio vi è un inventario del 1803, da cui risulta come in questa data fosse già proprietà della sua famiglia. Fino ad oggi, questo è il dipinto ritenuto più giovanile di Sebastiano Mazzoni, come risulta da monogramma e datazione. Infatti, sullo scudo di Marte, appoggiato in primo piano presso l’elmo e il vessillo, vi sono l’iscrizione BMFI (Bastianus Mazzoni Florentinus Invenit) e la data 1638. Al centro della scena sono inseriti i due amanti, distesi su un giaciglio, avvolti dalla rete che Vulcano ha fabbricato appositamente, con l’intento di vendicarsi dell’adulterio della moglie, rivelatogli dal Sole. I corpi dei due colpevoli si divincolano: Venere, stesa a terra, cerca di coprirsi il volto e il corpo con le mani, vergognosa per quanto sta avvenendo, così come detto da Luciano (Vulfc25), mentre Marte, seduto e piegato in avanti, cerca di strappare, con le braccia, la rete che lo avvolge. In loro aiuto è giunto Mercurio, riconoscibile per il petaso in testa, che, alle loro spalle, cerca di sciogliere la catena e liberarli. Il pittore, nel presentare questo episodio, non si è attenuto del tutto alla versione omerica (Vulfc01), né a quella di Ovidio (Vulfc15), che presentano Mercurio molto ironico e divertito, certo non pronto ad aiutare i due amanti, ma sembra aver attinto ad una fonte letteraria diversa, non ancora identificata, soprattutto per la mancanza di Nettuno, che, nelle fonti suddette, interviene per chiedere a Vulcano di liberare Marte e Venere. Oltre a ciò sono stati inseriti alcuni personaggi non identificabili con le vicende narrate, come per esempio i tre dei che assistono allo spettacolo dal fondo, al centro della fascia centrale. Alla vicenda assistono molte altre divinità, maschili e femminili, elemento da cui si può osservare che il pittore ha seguito la tradizione ovidiana, che parla genericamente di dei, senza indicarne il nome e il sesso, diversamente da Omero. Da sinistra si vedono le tre Grazie, poi Cerere, con una ricca cornucopia, Bacco, con l’edera fra i capelli, Giove, seguito da Ganimede, ben riconoscibile, perché sovrastato da una grande aquila nera, in parte minacciosa, che tiene nel becco il fulmine, elemento iconografico di solito posto nelle mani del dio. Nella parte sinistra, in alto, contrapposto all’aquila, ma in antitesi nei colori, si affretta a giungere in aiuto Iride, messaggera di pace. Con l’arcobaleno investe di luce Pan, all’estremità sinistra e sulla destra, le tre Parche e Saturno, con la falce, colto nell’atto truce di uccidere uno dei suoi piccoli figli. Intorno alla coppia sono indaffarati alcuni puttini: chi sposta le cortine del baldacchino, chi, in terra, sta vicino alle armi che Marte ha tolto nel momento del suo incontro con Venere, e con le quali giocava fino a poco prima. Un puttino si allontana velocemente con la freccia in mano, preoccupato per le conseguenze che ne sono derivate. In primo piano, oltre ad un caprone, simbolo dell’istinto bestiale, cavalcato da un putto, vi è probabilmente Apollo, che ha abbassato il violino, in segno di costernazione. Contrariamente a quanto è consueto vedere nella narrazione di questa vicenda, in cui per lo più si dà un’interpretazione ironica, con  la presenza degli dei che ridono e si divertono alle spalle delle due divinità punite (Omero, Vulfc01), in questa tela si è attuata un’elaborazione più tesa dell’episodio, in cui la fantasia del pittore ha trovato spazio per un’espressione tendente a realizzare movimenti turbinosi e dinamici. Al centro della scena si avvicinano al luogo dell’amplesso Giunone, riconoscibile dalla testa adorne di piume di pavone, suo attributo iconografico, e Minerva, completamente armata, attualizzata come un guerriero del XVII secolo. Dietro di loro, sulla destra, coperti dall’ombra minacciosa che si stende al centro della scena, Vulcano, vecchio, brutto, appoggiato ad una gruccia, indica la turpe scena a Diana, con la mezzaluna nei capelli, che, però, rifiuta di guardarla, girandosi di spalle. Si tratta di un’iconografia che in parte segue la versione tradizionale, in cui Vulcano segnala i due amanti, come detto in Omero e Ovidio, ma che in parte se ne discosta, in quanto egli non si rivolge a tutti gli dei, ma solo a Diana, che, peraltro, non appare divertita dalla scena che le si presenta.

Giulia Masone