72: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera: Le conseguenze della guerra

Autore: Pieter Paul Rubens

Datazione: 1637

Collocazione: Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina

Committenza: Justus Suttermans

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela  (206 x 342 cm)

Soggetto principale: Venere tenta di disarmare Marte

Soggetto secondario:

Personaggi: Marte, Venere

Attributi: elmo, scudo, corazza, lancia (Marte)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: http://www.wga.hu/art/r/rubens/30allego/06allego.jpg

Bibliografia: Held J. S, Rubens, Garzanti, Milano 1963; Baudouin F., Pietro Pauolo Rubens, Mercatorfonds, Anversa 1977; Held J. S., The Oil Sketches of Peter Paul Rubens, Princeton University, Princeton 1980, vol. I; Jaffé M., Rubens. Catalogo completo, Rizzoli, Milano 1989; Bodart D., Rubens, Art Dossier, XLIV, Giunti, Firenze 1990; Guarracino S. – Ortoleva P. – Revelli M., Storia dell’età moderna. Dall’assolutismo alla nascita delle Nazioni, B. Mondadori, Milano 1993

Annotazioni redazionali: Il dipinto, di grandi dimensioni, venne commissionato a Rubens da Justus Suttermans nel 1637. Fu spedito da Anversa al principe Ferdinando de’ Medici, acquirente della tela, con una lettera dello stesso pittore, del 12 marzo 1638 il cui contenuto è determinante per capire la sua sensibilità nei confronti del dramma della guerra:  “La principale figura è Marte, che lasciando il tempio di Giano aperto (il quale in tempo di pace, secondo gli costumi romani, stava serrato) va col scudo e la spada insanguinata, minacciando ai popoli qualche gran ruina, curandosi poco di Venere, sua dama, che si sforza con carezze, et abbracciamenti a ritenerlo, accompagnata dalli suoi Amori e Cupidini. Dall’altra banda Marte vien tirato dalla furia Alecto con una face in mano, e due mostri a canto, che significano la peste e la fame, compagni inseparabili della guerra. Nel suolo giace rivolta una donna con un liuto rotto, che denota l’armonia, la quale è incompatibile colla discordia della guerra: siccome ancora una madre col bambino in braccio, dimostrando che la fecondità, generazione e carità, vengono traversate dalla guerra, che corrompe e distrugge ogni cosa. Ci è di più un architetto sottosopra colli suoi strumenti in mano, per dire, che ciò che in tempo di pace vien fabbricato per la comodità e ornamento della città, si manda in ruina, e gettasi per terra per la violenza dell’armi. Crede, se ben mi ricordo, che V.S. troverà ancora nel suol, di sotto i piedi di Marte, un libro e qualche disegno in carta, per indicare, che egli calca le belle lettere et altre galanterie. Vi deve esser di più un mazzo di frezze o saette, col laccio che gli stringeva insieme sciolto, che era, stando unite, l’emblema della Concordia; siccome ancora il Caduceo, e l’ulivo, simbolo della pace, che finsi giacerli a canto quella matrona lugubre, vestita di negro e col velo stracciato, e spogliato delle sue gioie et ogni sorte d’ornamenti; è l’infelice Europa, la quale già per tanti anni soffre le rapine, oltraggi e miserie, che sono tanto nocive ad ognuno, che non occorre specificarle. La sua marca è quel globo, sostenuto da un angeletto o genio con la croce in cima, che denota l’orbe cristiano. Questo è quanto che posso dirne a V.S. [...]”. Poter disporre della spiegazione di Rubens è molto importante, perché identifica, anche nei minimi dettagli le motivazioni della sua composizione, così diversa, sul piano iconografico, da qualsiasi altro dipinto in cui si sia finora trattato questo argomento. Tuttavia, anche senza di essa, non può sfuggire, per la drammaticità dell’esecuzione, il tema centrale del dipinto, che è dominato da un moto irrefrenabile in direzione della zona di destra, densa di funesti presagi: non vi è rimedio per la violenza della guerra, una volta che essa si sia scatenata. Tale concetto è espresso dal pittore in un messaggio di significato universale, che, attraverso i secoli, ancora oggi, non ha perduto né di verità né di efficacia. Rubens è qui ben lontano dal tema che aveva proposto nel 1610 nella tela del Getty Museum (Cfr. scheda opera 64), quando, a seguito della tregua dei Dodici anni, sperava che si ponesse fine ad un periodo di guerre e di lotte, che durava da lungo tempo. In quella situazione storica era preminente la tradizione che vedeva Marte vinto dall’amore, come espresso da Lucrezio (Vulfc10) e Ovidio (Vulfc15), ma qui negato. Questo dipinto, infatti, del 1637, è stato eseguito nel pieno della Guerra dei Trent’Anni, ed il tema è proprio la distruzione, l’infelicità, che coinvolge tutta l’Europa, e il sovvertimento dei benefici della pace. In questa iconografia, così drammatica, è anche stravolto il tema del rapporto fra Marte e Venere. Nel corso dei secoli, ed in particolare, poi, nel Rinascimento (Vulfr02), si erano sviluppati due diversi filoni, da una parte l’aspetto ironico della vicenda, dall’altra il concetto della Concordia discors, secondo una visualizzazione della dottrina ficiana (Vulfr01) del mutuo temperamento in cui Venere riusciva vincitrice e disarmava la guerra. Qui, invece, Marte avanza, completamente armato, con lo scudo levato e l’elmo calcato sulla testa, brandendo una spada insanguinata, del tutto disinteressato alle attenzioni e alle lusinghe che gli rivolge Venere, abbracciata a lui, che cerca di trattenerlo. La dea, nuda, coperta solo sui fianchi dallo stesso manto di Marte, pur rappresentata nell’iconografia consueta, appare ben diversa, nella sua impostazione, dalle raffigurazioni precedenti, anche dello stesso Rubens, e mostra qui drammaticità ed impotenza, rafforzate dai gesti dei due puttini, che, travolti da questa violenza, si aggrappano alla madre, per cercare di proteggersi. È un messaggio di profondo pessimismo, in cui si vede la fine della prosperità dell’Europa, attuato anche con una gamma di colori che alterna le tinte morbide e delicate degli incarnati delle figure positive con quelli scuri, opachi e tetri delle figure di morte.

Giulia Masone