68: Marte, Venere e Vulcano

Titolo dell’opera: Apollo nella fucina di Vulcano

Autore: Velázquez

Datazione: 1630

Collocazione: Madrid, Museo del Prado

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (223 x 290 cm)

Soggetto principale: Sole informa Vulcano dell’adulterio di Marte e Venere

Soggetto secondario:

Personaggi: Vulcano, Apollo, Ciclopi

Attributi: incudine, martello, pileo (Vulcano); raggi di Sole, corona di alloro (Apollo-Sole)

Contesto: scena d’interno

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: http://www.andriaroberto.com/Diego%20Velázquez.%20The%20Forge%20of%20Vulcan.%201630.%20Oil%20on%20canvas.%20Museo%20del%20Prado,%20Madrid,%20Spain..jpg

Bibliografia: Asturias M. A., L’opera completa di Velázquez, Rizzoli, Milano 1981; Marini M., Velázquez, Art e Dossier, XCIV, Giunti, Firenze 1994

Annotazioni redazionali: Il dipinto è stato realizzato durante la permanenza del pittore a Roma, nel viaggio in Italia al seguito del marchese Spinola, ed acquistato, poi, dall’Olivares. Questo dipinto allude al tema dell’“inganno svelato”: Apollo rivela l’adulterio a Vulcano, mentre questo stesso ed i Ciclopi stanno forgiando l’armatura di un cavaliere di rango neppure troppo elevato, data la semplicità di essa, in confronto a quelle che il dio fabbro sa realizzare, secondo quanto indicato nelle fonti letterarie, che fanno del dio un artefice di opere raffinate. Ben diverse sono infatti quelle da lui preparate per Marte, di solito inserite nei dipinti che trattano questo argomento. In tal modo il pittore dimostra la sua consueta dissacrazione del mito, da lui spesso operata. In questa raffigurazione Velazquez coglie il momento in cui Apollo, con la corona di alloro nei capelli ed un’aureola di raggi intorno al capo, nella consueta iconografia del Sole, comunica a Vulcano la notizia dell’adulterio, di cui lui si è accorto “per primo”, come espresso con precisione da Ovidio (Vulfc15). Il dio è in una posa statuaria, con il piede destro poggiato indietro, ad indicare l’attimo del suo arrivo, il braccio alzato e l’indice della mano tesa, in atteggiamento colloquiale,per indicare al dio fabbro qualcosa che sta avvenendo al di fuori della sua fucina, proprio mentre lui è occupato a lavorare. Ha il corpo coperto in parte da un manto luminoso, che rende ancora più splendente la sua figura. Si rivolge direttamente a Vulcano, che, colto con il volto esterrefatto, meravigliato, e già pieno di rabbia, rimane immobile, tenendo nella mano sinistra il metallo arroventato. Ha in testa il pileo, come iconograficamente consueto, ed ha i fianchi coperti dal grembiule di pelle, caratteristico dell’artigiano, che gli arriva fino ai piedi, ben diverso, nelle sue fattezze, da Apollo, ed indicato fin da Omero, come brutto e zoppo (Vulfc01). L’iconografia qui utilizzata ripropone quanto narrato da Ovidio. Egli, arricchendo il testo di Omero, in cui si indicava solo la denuncia fatta dal Sole, sottolinea che questi andò nella fucina, dove Vulcano stava lavorando, provocando, con le sue parole, la sua indignazione, tanto che gli “cascarono le braccia”. Questa precisazione viene poi ribadita da Bonsignori (Vulfm19), che aggiunge che cade il martello con cui sta lavorando, come appare anche in questo dipinto (Cfr. scheda opera 60). Anche i quattro Ciclopi, che lo stanno aiutando nel lavoro, sono colti nelle loro espressioni di sorpresa, quasi bloccati nei gesti che stavano compiendo: uno tiene il martello, pronto per colpire il metallo incandescente, un altro solleva la testa dalla corazza che sta completando, un terzo, in mezzo a questi due, rimasto a bocca aperta, ha in mano la pala per attizzare il fuoco, le cui faville si vedono sul fondo, mentre l’ultimo, sul retro, si volge meravigliato verso quanto sta succedendo. Velazquez dà qui il senso della sospensione del tempo, colto nell’attimo in cui la notizia arriva, mentre i fabbri lavorano. Il materiale da lavoro poggiato in terra, in modo disordinato, dimostra la tendenza del pittore ad attualizzare l’episodio, secondo una prassi consueta di riduzione del mito al quotidiano (Cfr. scheda opera 16, scheda opera 32 e scheda opera 64), in cui si intrecciano realtà e finzione, nel collegare lo spazio vero della bottega di un fabbro, con le improbabili divinità, una delle quali, Apollo, è espressa con luminosità, tale da rischiarare tutto l’ambiente. La luce fa risaltare il volto del dio e lambisce le figure, ad indicare proprio la luce che svela l’inganno, perché come dice Bonsignori, il Sole “entra per ogni più piccola apertura”,arricchendo le parole di Ovidio che aveva già sottolineato “vede tutto per primo”.

Giulia Masone